Un liceo in rosa proiettato nel mondo Allo Scholl mille studenti, il 95% ragazze

di Matteo Lunelli

Ricordate la campanella? Quella che vi faceva (o vi fa, o vi farà a seconda dell’età) esultare quando suonava proprio mentre la prof vi chiamava alla lavagna per un’interrogazione? Ecco, quel suono antico, gracchiante, stereotipato al liceo linguistico Sophie Scholl non lo sentirete mai: nelle aule e nei corridoi della scuola di via Mattioli a risuonare dall’interfono è un allegro jingle. «Quel breve motivetto musicale l’hanno scritto gli studenti. Lo cambiamo solo in due occasioni: a Natale, quando risuona “Jingle bells”, e l’ultimo giorno di scuola, quando viene sostituito da un assolo di chitarra molto rock. Secondo noi è una cosa carina, ma dobbiamo ammettere che a scuola ci sono i nostalgici della campanella». 

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Appena entriamo allo Scholl ad accoglierci ci sono le tre rappresentanti di istituto, Linda Savoia, Elena Cramerotti e Chiara Ferrari. Dopo le foto di rito («Siete tre ragazze, facciamo uno scatto alla Charlie’s Angels?», proponiamo. «E chi sono queste Charlie’s Angels?», ribattono), ci sediamo in aula magna e le tre iniziano a raccontare. «Qui ci sono 954 studenti. Ma circa 70 non li incontrerete nei corridoi: sono quelli di quarta, che fanno l’anno all’estero, un must della nostra scuola».
Quali sono le mete più esotiche, più strane? Oltre, immaginiamo, alle più classiche Germania e Inghilterra. «Abbiamo compagni in Cina, in Sudafrica, in Argentina, in Russia, in Nuova Zelanda. Poi, è vero, le più gettonate sono Germania e Inghilterra. In Francia non ci va praticamente nessuno». Le più gettonate perché le più vicine? «In realtà c’è una destinazione ben più vicina per l’anno all’estero. Però non rida». Promettiamo. «Ci sono dei ragazzi che stanno facendo la quarta a Bolzano. Effettivamente non è propriamente un anno all’estero, diciamo che è una partnership, infatti qui da noi ci sono degli studenti altoatesini». Non abbiamo mantenuto la promessa, ma proseguiamo: come funziona la scelta? E i costi? «Ci sono varie possibilità. La destinazione la sceglie lo studente, poi la scuola interviene nella parte organizzativa e burocratica, fornendo contatti, lettere di raccomandazione e aiuti concreti. Poi ci si appoggia a qualche associazione, molte delle quali danno anche qualche contributo economico, oppure a borse di studio regionali che vengono assegnate tramite concorso. Insomma, la famiglia deve contribuire economicamente, ma non del tutto. E per dormire si va o in famiglia o in college». 

[[{"type":"media","view_mode":"media_large","fid":"899376","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"480","style":"float: right;","width":"305"}}]]Un’esperienza, immaginiamo, che definire formativa è riduttivo. Due delle tre rappresentanti sono già state all'estero: Chiara in Germania e Elena in Irlanda, dove ha conseguito la maturità presso la Scoíl Bhride Mercy Secondary a Tuam. Linda, invece, andrà quest'anno: meta, Nuova Zelanda. «Trascorrere o dieci o sei mesi lontano da casa, a diciassette anni, da una parte non è facile, dall’altra è estremamente istruttivo. E poi si torna molto preparati dal punto di vista delle lingue». Tre donne rappresentanti, una preside e una vicepreside: una delle scuole più globali, aperte, internazionali della città è a «trazione» rosa. «È vero: infatti il 94,7% degli studenti sono ragazze». Insomma, chi è a caccia di una fidanzata si iscriva allo Scholl. «Effettivamente un maschio ha molta scelta. Ma pensa al contrario, pensa a noi ragazze... Comunque. L’anno scorso c’erano tre rappresentanti uomini, quindi queste elezioni “di genere” sono casuali. Tra di noi andiamo molto d’accordo e anche con la presidenza non c’è alcun problema, anzi: c’è grande collaborazione, l’ambiente scolastico è ottimo». E con i prof come va? «Alla grande. I rapporti sono splendidi. Noi crediamo si tratti di una questione legata alle lingue. Ci spieghiamo: i nostri docenti hanno una mentalità più aperta perché loro stessi hanno girato il mondo e respirato un’aria internazionale. Prof e lettori, ovvero quelle persone di madrelingua che ci fanno lezione, oltre a insegnarci vocaboli e grammatica ci portano le loro esperienze nei Paesi dove si parla quella lingua, insegnandoci usi, costumi, tradizioni». 

Chiedere alle tre rappresentanti cosa pensino di Trilinguismo e Clil è come chiedere a Bobo Vieri se gli piacciono le Veline, ma pur sapendo già la risposta, azzardiamo. «Il Clil per noi è stato fondamentale già alle medie, perché ci ha permesso di appassionarci alle lingue. Qui allo Scholl, su 32 ore settimanali, praticamente la metà riguardano inglese, tedesco e la terza a scelta (francese, spagnolo, russo o cinese): ne facciamo undici di lingua e poi due materie, per un totale di quattro ore, in Clil. Queste due materie sono differenti per ogni classe, c’è chi fa diritto in inglese, chi storia dell’arte in tedesco, a seconda delle competenze dei docenti. Poi, volendo, nel biennio c’è il latino, che magari è un idioma un po’ morto ma è pur sempre una lingua. Infine ci sono i corsi pomeridiani e, oltre a quelle già citate, si può scegliere anche l’arabo». Chi esce dal vostro liceo che università va a fare? «La stragrande maggioranza non sceglie lingue, proprio perché chi esce da qui le sa già. Da noi si raggiunge agilmente il livello C1 in inglese e tedesco e almeno il B2 nella terza lingua. Siamo orgogliose dello Scholl, pur essendo una scuola giovane è ottima». Suona nuovamente la campanella, anzi no, il jingle. E allora ragazze, grazie. Anzi, thank you.

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