Cosa è cambiato con l'elezione di ieri

Cosa è cambiato

di Pierangelo Giovanetti

L'elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica con una larga maggioranza trasversale, sfiorando con 665 voti i due terzi dei grandi elettori, è un bel segnale per il Paese, e riscatta la politica, il Parlamento, dal disastro delegittimante di due anni fa, quando si ricorse al Napolitano bis per l'incapacità di eleggere un successore. Matteo Renzi, il kingmaker, ha riportato la politica al centro del confronto e della decisione, ricostruendo un baricentro al sistema, condizione indispensabile per superare l'infinita transizione italiana e ridare funzionamento all'impianto istituzionale. In una parola: ricondurre l'Italia alla normalità.
Sul nome di Mattarella il giovane premier ha saputo comporre un consenso condiviso, allargando a sinistra (e in parte anche a destra) il terreno comune di scelta del Presidente della Repubblica, come sempre deve avvenire in maniera ampia e trasversale quando si riformano le istituzioni e le regole del gioco, e se ne eleggono i garanti. 

La scelta di una figura come Sergio Mattarella, per sua storia personale e profilo costituzionale, è già un passaggio rilevante di trasformazione del sistema politico-istituzionale italiano, riconducendo la Presidenza della Repubblica ad un profilo di «semplice» garanzia costituzionale, riducendone notevolmente la discrezionalità politica. Una sorta di Presidente «alla tedesca», notaio della volontà popolare espressa dal voto, dove la centralità politica spetta al Cancelliere e al Bundestag dentro cui poggia la sua maggioranza. Una tale figura di Capo dello Stato è possibile solo dentro un sistema che funziona, che ha il suo baricentro non più al Quirinale, ma nella politica, nel Parlamento.Cioè ha il baricentro nel partito vincitore delle elezioni (che governa) e in quello di opposizione, che controlla e si organizza per vincerle la volta successiva. Un contesto politico-istituzionale dove vi è un riconoscimento reciproco fra gli schieramenti, e quindi una legittimazione piena al momento dell'alternanza, senza demonizzazioni e veti vicendevoli.

L'opposto di quanto è avvenuto per tutto il ciclo della Seconda Repubblica, che ha costretto la Presidenza della Repubblica ad un ruolo politico e decisionale di supplenza, il quale peraltro ha probabilmente salvato in più occasioni la democrazia italiana da involuzioni antidemocratiche e derive populiste, come pure da bancarotta economico-finanziaria. Il successo dell'elezione di Sergio Mattarella al Quirinale ha già determinato due cambiamenti politico-istituzionali importanti. Il primo, appunto, è quello di una «ridefinizione» del ruolo del Capo dello Stato a quello di semplice arbitro costituzionale, come il profilo del prescelto sta a dimostrare, e non di attore primo della politica nazionale. Il secondo, quello di aver ripristinato attorno a un partito, il Pd, e al suo leader, l'asse portante su cui ruota il sistema politico, come avviene in ogni regime maggioritario. Con obbligo per il partito di esserne consapevole e di risultare in grado di svolgere tale ruolo. L'elezione di ieri, quindi, costituisce un pezzo non secondario della riforma costituzionale in atto, che ha già riscritto il ruolo del Quirinale e quello dei partiti.

Questa è la ragione per cui, il processo di riforme avviato, la legge elettorale già approvata al Senato, e la fine del bicameralismo con una sola Camera che dà la fiducia al premier, non sono disgiunti dalla scelta di Renzi su un nome come Mattarella, e dal ruolo che ha svolto come leader del partito di maggioranza. I due passaggi sono strettamente legati perché, se il Paese non trova stabilità dal responso elettorale (come l'Italicum per esempio consente) e si dovesse andare a votare con il Consultellum attuale, avremo un sistema politico-partitico debole, senza maggioranze in Parlamento, e quindi la necessità obbligata di riportare il baricentro del sistema al Quirinale, restituendo ad esso il potere politico decisionale e discrezionale. Chi pensa che l'elezione di ieri segni la nascita di nuove maggioranze di governo e la fine del patto di riforme, probabilmente sottovaluta Matteo Renzi, sia a destra che a sinistra. Non ha senso la scelta di Mattarella (e quindi la ridefinizione dei ruoli del Quirinale) senza il completamento delle riforme. E non ha senso il ruolo centrale del Pd se non è il motore del cambiamento, cioè delle riforme in atto.

In sostanza non esiste Matteo Renzi, ieri vincitore su tutto il fronte, senza la conclusione del cammino di riforme, come impostate. Probabilmente il premier ha ponderato i possibili contraccolpi della scelta di ieri sulla «controparte» del processo di riforme, ossia Forza Italia. Ma si è fatto convinto che, anche per Berlusconi come peraltro per Alfano, non vi è alternativa (anche per destini personali). O il processo di riforme si conclude, o si torna al sistema istituzionale «paralizzato», cioè all'emergenza, cioè al ruolo di supplenza del Quirinale. Chi a sinistra, nella minoranza del Pd o anche in Sel, è convinto di avere con il voto di ieri stoppato la legge elettorale e le riforme istituzionali, probabilmente ha fatto male i conti, perché ha reso Matteo Renzi ancora più forte di prima, e player incontrastato della politica nazionale. Come avviene in ogni democrazia occidentale, dove il leader del partito vincitore delle elezioni è il premier che governa per realizzare l'agenda sottoposta al voto degli elettori. E tale agenda non la assoggetta continuamente ai veti della minoranza interna, in una gestione oligarchica e consociativa del partito e delle scelte politiche nazionali.

Infine, un ultimo aspetto. Di forma, ma che diventa sostanza: la sobrietà e l'understatement dell'eletto. L'aver scelto negli ultimi anni quale abitazione la foresteria della Corte costituzionale, come papa Francesco ha preferito Casa Santa Marta al palazzo pontificio, forse può far prefigurare un modello. E chissà, anche, alimentare un sogno: la restituzione ai cittadini del bellissimo e ricco di storia e di arte palazzo dei papi sul Quirinale, aprendolo alla meraviglia e alle visite del mondo intero. Sarebbe un segnale grande, di impatto simbolico. E farebbe del Quirinale, e delle sue stupende stanze, una vera casa degli italiani, e non solo del suo inquilino.

p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige

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