Un cestino... di parole

di Francesca Baraldi

I sensi sono cinque: udito, olfatto, vista, tatto e gusto. Se chiudo gli occhi e penso alla cucina, ai miei ricordi ....sento il rumore del mattarello di mia nonna che stende la sfoglia, una sfoglia tonda e sottile che poi veniva arrotolata e tagliata  a produrre una cascata di  tagliatelle, con il moto sapiente del  coltello che filava veloce; assaporo il gusto ed  il profumo dei cioccolatini che trovavo nel camino il giorno di Santa Lucia: un misto di attesa e magia; vedo mio papà saltare la frittata come un giocoliere;  mi vedo con la mamma ad impastare con le mani gli ingredienti per fare una torta: un rito, con regole e tempi ben precisi (l’attesa ansiosa della lievitazione nel forno,  il taglio della prima fetta e il primo morso, quello più appagante quando il dolce era riuscito bene).

I sensi servono per produrre delle sensazioni, fanno da collegamento tra la nostra mente ed il mondo esterno: sono così importanti che li troviamo anche nel linguaggio figurato, dove acquistano un significato più complesso. «Avere naso» significa essere perspicaci, «avere occhio» vuol dire saper ben giudicare, «avere gusto» denota una persona che riconosce la qualità, la bellezza, «avere tatto» è sinonimo di persona sensibile, ed infine «avere orecchio» ovvero sentire il ritmo, l’armonia della musica. I sensi sono dunque necessari per distinguere le caratteristiche dei cibi, ma nel linguaggio sono utilizzati per identificare un significato, un sapere profondo. Quindi sapore e sapere condividono la stessa radice: i sensi.

Spesso, presi da una vita frenetica, dal poco tempo, non prestiamo attenzione ai sensi quando cuciniamo e mangiamo: o meglio, dimentichiamo di usarne alcuni, e ne usiamo troppo altri. Se a volte distrattamente assaporiamo e annusiamo il cibo, raramente tralasciamo di utilizzare la vista. Gli occhi spesso ingannano: si dice infatti che gli occhi siano più grandi della bocca. Vi siete mai chiesti come mai la vista del cibo diventa uno stimolo irresistibile? La spiegazione è data dall’evoluzione: l’atto del mangiare è un bisogno primario dell’uomo, da sempre. Il nostro cervello, quando pensa al cibo, funziona ancora come quello dell’uomo primitivo. Infatti, il nostro corpo è programmato per sopravvivere alle carestie: un tempo il cibo non era sempre abbondante  e non era facile procurarselo.

Quindi quando era disponibile dovevamo approfittarne e mangiare a crepapelle pensando ad eventuali future carenze.  Per questo  anche oggi per noi è difficile contenersi davanti ad un ricco buffet: non c’è nulla di sbagliato in questo, è l’inconscio della nostra mente e il nostro istinto di sopravvivenza che ci guidano e ci spingono  ad approfittare oltre misura della disponibilità di cibo, anche se una futura carestia è ragionevolmente assai improbabile. Oggi infatti  per noi il cibo è sempre disponibile: i supermercati sono sempre aperti, e mettono a disposizione qualsiasi prodotto, dalla frutta ai piatti pronti.

Chiudiamo qualche volta gli occhi quando gustiamo un piatto, facciamo affiorare nella nostra mente i ricordi, e riappropriamoci dei nostri sensi, per apprezzare nuovi o diversi sapori e conquistare nuovi saperi.

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