Fravezzi spinge l'idrolettrico Associazioni contro il senatore

Malgrado il mondo dell'associazionismo si impegni da anni, specie in alcune aree dell'arco alpino, per frenare la corsa «speculativa» allo sfruttamento idrolettrico che ha cementificato la gran parte dei corsi d'acqua alterando gli ecosistemi, il senatore trentino Vittorio Fravezzi (Upt) chiede al ministro Federica Guidi di non modificare le politiche che favoriscono questa corsa alla costruzione di centrali e centraline.

Malgrado il mondo dell'associazionismo si impegni da anni, specie in alcune aree dell'arco alpino, per frenare la corsa «speculativa» allo sfruttamento idroelettrico che ha cementificato la gran parte dei corsi d'acqua alterando gli ecosistemi, il senatore trentino Vittorio Fravezzi (Upt) chiede al ministro Federica Guidi di non modificare le politiche che favoriscono questa corsa alla costruzione di centrali e centraline. Il parlamentare, cioè, chiede al governo di lasciare inalterati i criteri per l’accesso agli incentivi da impianti che utilizzano fonti «rinnovabili» diversi dal fotovoltaico.

Ma il comitato promotore dell'Appello nazionale per la salvaguardia dei corsi d'acqua dall'eccesso di sfruttamento idroelettrico non ci sta e replica seccamente alle affermazioni di Fravezzi, secondo il quale modificando i criteri fissati nel 2012 «si colpirebbe soprattutto la nuova generazione da rinnovabili, che è la via più genuina di utilizzo delle fonti pulite, bloccando un settore che finora ha dimostrato di avere grandi opportunità di crescita anche occupazionale».

La mobilitazione, in questi anni, è stata particolarmente forte nell'area dolomitica bellunese, la terra della tragedia del Vajont, dove il continuo proliferare di progetti accolti dalla Regione Veneto ha incontrato una crescente contrapposizione popolare in difesa dell'ecosistema e dei diritti delle comunità locali.

In Trentino avanza rapidamente una serie di progetti, anche di società pubbliche (Provinca e Comuni), come in val Calamento, apparentemente senza una particolare attenzione critica da parte dell'associazionismo ecologista: il tema sembra meno maturo nella consapevolezza dell'opinione pubblica.

«Tutte le principali associazioni italiane che si occupano di ambiente e di fiumi, Cai centrale compreso, e oltre 100 associazioni e comitati locali sono di opinione ben diversa da quella del senatore Fravezzi e hanno presentato nell’ottobre dello scorso anno un Appello nazionale accompagnato da un dossier "L'energia verde che fa male ai fiumi" che fanno il punto sulla situazione italiana dello sfruttamento idroelettrico», scrivono all'Adige Giovanna Deppi e Lucia Ruffato, in rappresentanza dei promotori dell'appello al quale ha aderito, fra gli altri, anche il comitato trentino per la salvaguardia del fiume Noce.

Le richieste più urgenti contenute nell'Appello sono per una moratoria delle autorizzazioni e per la revisione del sistema degli incentivi, spiegano.

«I sottoscrittori ritengono che  sarebbe opportuno, per salvare quel che resta dei nostri corsi d'acqua, togliere gli incentivi da subito proprio a cominciare dai progetti non ancora approvati e iscritti negli elenchi del Gse.

Ad oggi in Italia sono attivi già 2000 impianti mini-idro, di cui 600 autorizzati negli ultimi anni; la loro produzione complessiva corrisponde a circa 1 millesimo di tutta l’energia che consumiamo in Italia in un anno e a circa 6 millesimi dell’energia elettrica consumata nel nostro Paese.

Tolta la foglia di fico dell’energia rinnovabile, quello che resta è un grande affare per arricchire pochi a spese della collettività, dell'ambiente e del paesaggio. Questi impianti stanno infatti in piedi solo grazie agli incentivi che noi tutti paghiamo nelle bollette della luce per un totale di  oltre un miliardo di euro all'anno.

La loro costruzione rappresenta inoltre un fattore di incremento del rischio idraulico e geologico per le opere di scavo e di ricollocazione del materiale di risulta.

I 2000 nuovi impianti in istruttoria, quasi tutti “mini”, cioè sotto il megawatt di potenza, compresi quelli iscritti a registro sia in posizione utile che non utile, tutti assieme produrrebbero un altro millesimo dell’energia consumata in Italia in un anno. Poi basta. Resterebbe da grattare solo il fondo del barile, perché in questi ultimi anni, a seguito della Direttiva energia e degli incentivi che remunerano ogni kwh prodotto 3 volte il valore di mercato, sono state presentate tutte le richieste possibili a partire ovviamente da quelle più interessanti dal punto economico-finanziario, in primo luogo impianti con lunghe condotte sui tratti iniziali dei torrenti montani a monte delle grandi derivazioni idroelettriche storiche, in quel residuo 10 per cento dei nostri corsi d'acqua che ancora manteneva caratteristiche di elevata naturalità.

È importante tener presente che molti di questi impianti iscritti a registro GSE sono solo progetti non ancora autorizzati e iscritti con il solo titolo concessorio a derivare l'acqua, titolo emanato in una fase molto precoce dell'iter, in virtù del decreto ministeriale del 6 luglio 2012 che dà - ai soli impianti idroelettrici - la possibilità di iscrizione ai registri con titolo autorizzatorio o titolo concessorio, che son cosa ben diversa.

Essendo state presentate ad oggi tutte le richieste possibili, il poco che ancora rimane da salvare in Italia si trova tra gli  impianti non ancora autorizzati ancorché provvisti di questa concessione preliminare.

L'Europa ci tiene d'occhio: ricordiamo che è in corso la procedura EU PILOT 6011 2014 ENVI che porterà sicuramente ad una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (in quanto le autorizzazioni finora concesse e le istruttorie in corso non rispettano né la Direttiva Acque né le Direttive Habitat e VIA) e che nel 2015 si è aggiunta un’ulteriore procedura EU PILOT 7304 2015 ENVI.

La recente comunicazione della Commissione europea "Disciplina in materia di aiuti di stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014 2020 ( 2014/C 200/01)", che indica come gli Stati membri devono erogare incentivi, proprio nella consapevolezza di questo problema, all'articolo 117 raccomanda che gli incentivi all'idroelettrico rispettino la Direttiva quadro Acque, cosa che attualmente in Italia non avviene.

È evidente che è impossibile per l'Italia rimediare a questi ritardi introducendo nuove regole "in corsa", mentre si procede ad autorizzare con le vecchie regole i duemila impianti in istruttoria.

Se anche si facessero tutti gli sforzi per mettersi tardivamente al passo con quanto richiesto dalle Direttive europee, questo risulterà inutile se contemporaneamente non si fermeranno tutte quelle procedure autorizzative che sono andate avanti solo perché la normativa italiana è inadeguata a tutelare i suoi fiumi.

Sarebbe auspicabile quindi che, in attesa di recepire correttamente le Direttive Acque,  Habitat e Via, si evitasse di incentivare la realizzazione di impianti non conformi alla normativa europea e a quella che l'Italia necessariamente dovrà varare per non peggiorare la già precaria situazione qualitativa-quantitativa dei suoi corsi d'acqua.

Oltre a questo, si sta andando verso una revisione del calcolo del Deflusso minimo vitale, cioè verso un deflusso ecologico o ecoflow, che con ogni probabilità porterà all'obbligo di rilasciare un volume maggiore di acqua nei corsi d’acqua, e ciò metterà in discussione anche gli ipotizzati rientri economici di questi impianti, insostenibili dal punto di vista ambientale, proprio perché fanno riferimento a una normativa che dovrà per forza venire superata in senso migliorativo.

Nei prossimi dieci anni, anche nolente, l'Italia dovrà seguire l’esempio di altri Paesi che già lavorano nella direzione della riqualificazione fluviale (vedi la Francia). Tanto vale rinunciare da subito a deteriorare: ne guadagneranno l'ambiente, le nostre bollette (in particolare quelle delle piccole imprese) ed eviteremo di dover pagare le sanzioni europee», conclude la nota delle due rappresentanti del comitato promotore dell'Appello nazionale per la salvaguardia dei corsi d'acqua dall'eccesso di sfruttamento idroelettrico.

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