Riforma Senato, scontro Renzi-Grasso

A meno di 24 ore dal Consiglio dei ministri chiamato a varare il ddl sulle riforme è scontro aperto tra il premier Renzi e il presidente del Senato Pietro Grasso. Il primo avverte che sulla revisione del bicameralismo non intende mollare, mentre il secondo, in due interviste a sorpresa che spiazzano l'esecutivo, afferma: la Camera Alta deve restare elettiva, altrimenti, il combinato disposto del ddl annunciato da Renzi («con il Senato composto da esponenti delle autonomie non scelti direttamente dai cittadini») con l'Italicum «mette a rischio la democrazia»

grasso renziA meno di 24 ore dal Consiglio dei ministri chiamato a varare il ddl sulle riforme è scontro aperto tra il premier Renzi e il presidente del Senato Pietro Grasso.
Il primo avverte che sulla revisione del bicameralismo non intende mollare, mentre il secondo, in due interviste a sorpresa che spiazzano l'esecutivo, afferma: la Camera Alta deve restare elettiva, altrimenti, il combinato disposto del ddl annunciato da Renzi («con il Senato composto da esponenti delle autonomie non scelti direttamente dai cittadini») con l'Italicum «mette a rischio la democrazia».
Grasso parlando a «La Repubblica» e a «L'Unità» è categorico: non bisogna abolire il Senato, che deve restare un'assemblea di eletti, perchè serve «una Camera che sia di controllo e di garanzia». E altrettanto secca è la replica di Renzi al Tg2: «Mai più bicameralismo perfetto». Il Senato «non sarà più elettivo, altrimenti sarebbe una presa in giro nei confronti degli italiani». Il modello che oggi il governo illustrerà al Cdm «rispetta la Costituzione», assicura il premier. «Bisogna andare avanti e non tornare indietro. Capisco le resistenze di tutti, ma la musica deve cambiare» e «il vero modo per difendere il Senato non è una battaglia conservatrice», incalza Renzi, che probabilmente nei prossimi giorni avrà la sponda del Colle, che in passato si era già espresso per la fine del bicameralismo.
A rincarare la dose ci pensa il vicesegretario Pd, Debora Serracchiani, che prima difende il testo del governo e poi invita Grasso a rispettare le decisioni del partito. Non si dimentichi che lui è stato eletto con i Dem, afferma. Dopo un po' corregge il tiro dicendo che il ruolo della seconda carica dello Stato non è in discussione. Ma la «bacchettata» non passa inosservata e Beppe Fioroni reagisce invitando il suo partito a rispettare e a «non pressare» le alte cariche istituzionali. In serata interviene anche il sottosegretario Graziano Delrio che conferma la linea: la «proposta» del governo punta ad un Senato non eletto perchè in Italia «c'è un sistema barocco» il che «non è un problema per i senatori ma per i cittadini».
Ma se il governo «non molla», anche Grasso insiste e dopo le interviste assicura in Tv da Lucia Annunziata che il suo «vuol essere solo un contributo», ma che come tale vorrebbe che venisse ascoltato. «Io sono il primo rottamatore del Senato e non sono né un parruccone né un conservatore», precisa. «Ma non si può cambiare la Costituzione a colpi di fiducia come si è fatto per le Province», mentre una riforma monocamerale, unita all'Italicum, può presentare «un rischio per la democrazia».
Grasso ricorda di aver già avanzato le sue perplessità con il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, ma di non aver avuto «alcun ritorno». Poi, dà al premier un consiglio che suona come un avvertimento: se sulla riforma le cose restano così, «i numeri al Senato rischiano di non esserci». E le sue affermazioni sembrano risvegliare la fronda anti-riforma. In un documento, 25 senatori Pd, guidati da Francesco Russo, rivendicano di non essere «meri esecutori» e invitano Renzi «ad ascoltare le tante voci» e a «non porre ultimatum». Libertà e giustizia, poi, lancia un appello dal titolo «Verso la svolta autoritaria», che ha come primi firmatari Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà. «Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato da una sentenza della Corte costituzionale», si legge nel testo che viene sottoscritto da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio che parlano a loro volta di «deriva autoritaria».

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