La storia / L’avventura

In mountain bike sulla strada più alta del mondo: da Villa fino a confini del Tibet

L’avventura di Riccardo Todeschi, 32 anni di Villa Lagarina, una laurea in geografia e tante esperienze di lavoro in giro per l’Europa. Un viaggio a forza di pedali di oltre 2.000 chilometri ad altitudini proibitive, la maggior parte tra i 4 e i 6.000 metri

di Tommaso Gasperotti

VILLA LAGARINA. Con la sua Ofelia, una mountain bike che carica di equipaggiamento, scorte d'acqua e cibo pesa circa 40 kg, sta viaggiando in India sui passi e le strade più alte del mondo. Riccardo Todeschi, 32 anni di Villa Lagarina, una laurea in geografia e tante esperienze di lavoro in giro per l'Europa, i giorni scorsi ha realizzato un sogno: percorrere quella che viene considerata la strada carrabile più alta del pianeta con la sua bici. Unico ciclo-viaggiatore italiano a riuscirci: l'Umling La Pass, a 5.798 metri di quota, quasi al confine con il Tibet, è infatti interdetta ai cittadini stranieri.

«Sì, credo proprio di essere l'unico italiano, se non l'unico cittadino non indiano, ad aver pedalato lungo questa strada. - risponde Riccardo dal villaggio himalayano di Manali - Agli stranieri non è infatti consentito l'accesso per motivi militari».

Come ci sei riuscito? «A Leh, capitale del Ladakh, avevo fatto richiesta e ottenuto il permesso necessario per attraversare la valle che porta al paesino di Hanle ma a un check point presidiato dalla polizia locale mi hanno bloccato e obbligato a tornare indietro», racconta il ciclista. Che, dopo il primo stop, non ha rinunciato all'obiettivo.

«Mappa e gps alla mano, ho cercato una via alternativa», prosegue. Due giorni di sentieri sterrati, in mezzo al nulla e spesso con la bici a spinta: «Stavo per mollare, ero stremato e avevo quasi finito il cibo, quando dopo giorni di silenzio e vento gelido ho sentito il rumore di un motore: non ci ho pensato due volte e ho chiesto un passaggio ad un pick-up in arrivo», aggiunge.

Uno strappo di 30 km fino alla caserma di confine di Chisumle. Dove, davanti ai militari, non ha potuto mentire: «Vado all'Umling La, ho ammesso, convinto mi rispedissero subito indietro». «Buona fortuna. E copriti che lassù farà molto freddo»: è la risposta del generale. «Non credevo alle mie orecchie. Mi hanno anche offerto riso e dahl (crema di verdure e legumi, ndr), una branda per la notte, e ho guardato in tv una partita di cricket con loro. La mattina seguente ero in sella a Ofelia sulla strada più alta del mondo: un sogno che si avverava».

Il primo e unico italiano a faticare lassù. Il resto dell'avventura è un viaggio di oltre duemila chilometri ad altitudini proibitive, la maggior parte tra i 4 e i 6.000 metri di quota, tra burroni, laghi sacri e yak. «Sono in giro da quasi due mesi - racconta il viaggiatore lagarino - e finora ho attraversato dieci passi sopra i 5.000 metri: un ulteriore obiettivo che mi sono dato nel corso del viaggio. Le colorate bandierine di preghiera tibetane mi danno forza quando le vedo da lontano: segnano un punto di arrivo ma anche di rinascita. Sul Tanglang La, a 5.328 metri, mi sono sentito davvero libero e un pensiero è andato ad Alessia Piperno, la viaggiatrice italiana incarcerata le scorse settimane in Iran, che ho sentito più volte per dei consigli di viaggio. Ho saputo della sua incarcerazione solo il giorno prima».

Le difficoltà più grandi? «La sabbia alzata dai camion è sicuramente il fastidio principale. Alcune strade sono molto strette e trafficate, spesso a precipizio su burroni: non è piacevole quando questi bestioni ti sfrecciano accanto mentre pedali a pieni polmoni, alzando un polverone. L'acclimatamento, invece, è andato bene: nessun problema a parte qualche sporadico mal di testa in alta quota».

E con il freddo? «A Leh ho comprato dei vestiti invernali. Sull'ultimo passo attraversato, lo Shinku La, sono stato sorpreso dalla neve: se solo avessi tardato di qualche ora sarei rimasto bloccato dall'altra parte della montagna per chissà quanto».

«A livello umano ho trovato una grande accoglienza. Alcune famiglie - spiega l'avventuriero su due ruote - mi hanno offerto un pasto o ospitato per la notte. La regina del villaggio di Zangla, nella valle del fiume Zanskar, mi ha dato di persona le chiavi per visitare il suo castello. Tanta la curiosità e tanti i selfie: un ciclista bianco da quelle parti non si vede spesso».

Prossime tappe? «Prima di rientrare in Italia - conclude Riccardo, che nel suo trascorso ha pedalato dal Trentino a Capo Nord, nel sud Est-Asiatico, in Bangladesh e negli Emirati Arabi - vorrei provare a percorre quella che viene considerata la strada più pericolosa del mondo, la Killar Kishtwar, nello stato indiano dell'Himachal Pradesh, 114 chilometri di sabbia, sassi e ghiaia a picco sul vuoto».

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