La storia / Giovani

Un perito chimico di Mori nell’Olimpo dei baristi: in Svizzera è già un numero uno

Matteo Moscatelli ha lasciato il posto fisso in azienda per inseguire la sua passione: creare il cocktail perfetto

di Denise Rocca

MORI - Il moriano Matteo Moscatelli a luglio rappresenterà la Svizzera al Global Final World Class 2021, concorso per bartender organizzato dal colosso delle bevande Diageo. Rappresenterà la Svizzera perché ha già vinto il campionato nazionale a Zurigo, dove abita, lavora e sta per sposarsi.

La sua è una storia di quelle che, invece di andare in linea retta, si muovono a zigzag: perito chimico per formazione, ma appassionato di shaker e cocktail, per un po' ha lavorato di giorno in un'industria chimica e la sera in diversi bar trentini, prima di buttarsi e prendere un volo verso Londra dove inseguire il sogno di diventare un bartender. A distanza di quattro anni da quell'approdo in terra britannica è arrivata la qualificazione per la competizione mondiale e ora insegue il traguardo di essere eletto miglior bartender del mondo.

Come è nata la passione per il bartendering?

«In realtà quando ero alle medie mi piaceva cucinare, volevo fare la scuola alberghiera ma poi ho cambiato strada e sono andato a Verona in un istituto di chimica. Doveva andare così, non rimpiango nulla: per mantenermi gli studi ho cominciato a fare il cameriere e poi il barman e ad un certo punto ho scoperto che la chimica che studiavo a scuola e i bar dove lavoravo alla sera usano due lingue diverse ma in realtà fanno la stessa cosa».

Chimica e cocktail, che matrimonio è?

«Un matrimonio che funziona. Quando si crea una ricetta non si tratta solo di mescolare bene i sapori, a volte si usano foglie, bacche o radici che devono subire un trattamento particolare: sapere quale è una questione di chimica. I sapori non sono altro che reazioni chimiche, chi conosce il sistema di interazione e funzionamento delle sostanze riesce a ricreare sapori, colori e combinazioni più facilmente. Per esempio, ora sto studiando un drink che sa di cocco ma per farlo ho usato le foglie di fico che se vengono distillate sprigionano questo sapore di cocco anche se non lo sono».

Un chimico prestato al bancone del bar. Come incide sul tuo modo di lavorare questa formazione?

«Prima di mixare un cocktail nuovo entro sempre in un portale di chimica che fornisce tutte le informazioni sulle potenziali allergie e interazioni fra gli ingredienti. Il mio modo di pensare un nuovo cocktail è molto mentale: sento una frase in un film, vedo un colore e inizio a pensare a ingredienti in testa. Faccio meno prove di chi ha una formazione specifica da scuola alberghiera ma perché nella mia testa so come combinare i sapori o quali mezzi usare per ottenere un risultato, poi si tratta solo di bilanciare il cocktail provandolo. Ma quasi tutto accade nella mia testa e sulla base delle mie conoscenze chimiche».

Al campionato mondiale servirà anche l'informatica per vincere. Spiegaci come.

«Ci saranno cinque prove diverse, una prevede di ampliare la community dei bartender. Siamo su un altro piano rispetto al preparare una bevanda. Sto creando un App con la quale, a portata di click, ci saranno tutti i mercatini dell'usato o i supermercati con la merce invenduta così che gli utenti, bartender e non, possano comporre il proprio cestino della spesa. Abbinato ad una sorta di wikipedia in cui i migliori bartender al mondo regalano le proprie conoscenze su come preparare drink, liquori e sciroppi. Così se a casa desidero fare qualcosa di particoalre, accedo alla App per comperare quello che mi serve e trovo un esperto che mi guida».

Un ritorno in Italia c'è nei piani futuri?

«Per ora in Italia aprire un bar e riuscire a sopravviverci è molto difficile. Il mio sogno è che diventi possibile anche qui poter aprire un piccolo locale sull'onda della passione per il mestiere, ma per ora rimango a Zurigo. La mia italianità comunque viene sempre fuori, l'ho visto anche in gara. Credo che ci sia una marcia in più, a livello umano e verso l'accoglienza del cliente, è come l'avessimo scritto nel dna, e questo ce lo invidiano tutti».

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