La montagna che guarisce Gite con pazienti psichiatrici

La montagna come «cura» per il disagio psichico. Se ne parlerà venerdì 13 novembre alle ore 20.30, all'auditorium Cassa Rurale Bassa Vallagarina con tre esperti, l'antropologo Annibale Salsa, già tra i primi a promuovere la «montagnaterapia»; lo psichiatra Sandro Carpineta; e l'alpinista roveretano Mariano Frizzera.

«Oltre il passo. Esperienze in cammino», questo il titolo dell'evento, vuole anche far conoscere le «Uscite ambientali», e cioè le escursioni fatte in alta quota sia con i pazienti seguiti dal Centro di salute mentale di Rovereto che con gli utenti che frequentano i servizi della Cooperativa Gruppo 78 di Ala.

Raccontano gli operatori di questo Centro terapeutico residenziale: «Da una decina d'anni organizziamo camminate di una giornata, e negli ultimi tre anni siamo riusciti anche a proporre uscite di due giorni, per la maggior parte in primavera estate, ma dall'anno scorso anche a fine inverno con le ciaspole. Sono momenti importanti, a cui partecipano anche 30 persone. Naturalmente, visto che si tratta di problemi psichiatrici, tutto dipende dallo stato di salute dei nostri pazienti».

«Tali uscite - proseguono gli operatori - portano ad un rapporto più consapevole con la natura, con se stessi e con gli altri. Nel corso degli anni si è formato un gruppo affiatato ma aperto, a cui può aggiungersi chi vuole. Da alcuni anni abbiamo condiviso la nostra esperienza con la Sat di Rovereto che ci dà una mano anche a programmare i percorsi, preparaci alle uscite e mettendoci a disposizione il materiale tecnico. Abbiamo condiviso fatiche, paesaggi, conoscenze, pasti e a volte anche qualche zaino troppo pesante. Impariamo a "vivere" la montagna, a riconoscere e dare un nome alla natura che abbiamo attorno riscoprendoci in essa».

Che la montagna possa fare del bene, ne è convinto anche lo psichiatra Sandro Carpineta, già componente della Commissione centrale medica del Cai e tra i pionieri di questo approccio interdisciplinare: se infatti nel 2003 era tra i primi ad occuparsi di montagnaterapia, ora in Italia ci sono oltre duecento gruppi che sono impegnati in questo campo. «Si lavora in modo tale - spiega - che il sapere psichiatrico vada adattato ad uno scenario diverso, quello della montagna, per trovare quali sono le situazioni che abbiano un determinante positivo, che possano fare del bene».

«Sono tre - continua Carpineta - le aree principali su cui si lavora: la dimensione relazionale, corporea, tecnico - sociale. Il beneficio di stare in gruppo è il più ovvio: in montagna si va insieme, legati con la corda, si aspetta il più lento, il cibo va diviso; sono tutte azioni che si basano sull'aiuto reciproco. Per quanto riguarda il corpo, invece, va ricordato che il paziente psichiatrico ha problemi legati alla fisicità.

In questo caso portare avanti un'attività faticosa in un ambiente poco accogliente ma pulito e sano, non condizionato da situazioni umane, costringe il paziente a mettersi in gioco e permette alla persona di integrare la parte corpo con il proprio sé psicologico. Per esempio, l'atto di arrampicare, superare un crepaccio, vedere il rifugio da lontano e sapere che ci vorrà molto per raggiungerlo, ha molto a che fare con la vita mentale di una persona. Infine, la valenza sociale implica una forte collaborazione: queste cose funzionano solo se c'è fiducia e forte integrazione. In questo modo la persona inizia ad andare in montagna regolarmente, e si innescano meccanismi e movimenti per farla uscire dalla patologia, ed abbandonare le stimmate della patologia psichiatrica».

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