Viabilità / Il dibattito

Le zone 30 a Trento, il sindaco: «Termine che non mi piace, andrebbero chiamate zone bambini”

Franco Ianeselli: “Proviamoci, senza fare battaglie ideologiche, senza prendere posizioni aprioristiche. Magari sperimentando ne uscirà una città migliore. Magari troveremo una via trentina, solo nostra, diversa da tutte le altre. Se stiamo fermi, non cambierà mai nulla”

IL MINISTERO "Zona a 30 km, limite non ragionevole"

TRENTO.  “Vi dico la verità, il termine “zone 30” non mi piace. Perché fa venire in mente un limite, mentre invece l’idea di fondo del progetto è quella di liberare spazio per la città delle persone”. Sono queste le prime parole che si leggono nel post su Facebook di Franco Ianeselli, sindaco di Trento, che continua così:

«Dopo l’affollato incontro di ieri sera, 18 gennaio, con l’urbanista Matteo Dondè, allora è forse il caso di fare alcune precisazioni:

Nessuno pensa di mettere il limite dei 30 km all’ora sulle strade di scorrimento, per intenderci via Brennero, via De Gasperi e così via. Non avrebbe alcun senso.

Sperimenteremo le zone 30 nei centri abitati, vicino alle scuole, in strade spesso già strette e tortuose che certo non invitano a correre.

Per fare una zona “30” non basta un cartello stradale con su scritto il limite. Va ripensato lo spazio urbano che deve diventare più vivibile, per esempio installando panchine e fioriere o colorando l’asfalto o allargando il marciapiede, a seconda dei casi. “Zona 30” significa innanzitutto città più bella.

Di una sperimentazione e di un percorso partecipato si tratta: se vedremo che la cosa non va bene o non fa per noi, studieremo un’altra iniziativa. Certo, qualcosa bisogna fare, a meno che non ci rassegniamo ai 9 morti al giorno sulle strade italiane e ai 157 milioni di euro all’anno legati ai danni da incidentalità stradale nel solo Trentino.

Che non si dica che le “zone 30” servono a fare cassa. Servono piuttosto a fare in modo che i bambini tornino ad andare a scuola a piedi e da soli (in Italia c’è il record di bambini accompagnati fin quasi in classe e, guarda caso, di obesità infantile!). Servono ad aumentare la sicurezza, a migliorare lo spazio pubblico. Servono alla città delle persone.

Proviamoci, senza fare battaglie ideologiche, senza prendere posizioni aprioristiche. Magari sperimentando ne uscirà una città migliore. Magari troveremo una via trentina, solo nostra, diversa da tutte le altre. Se stiamo fermi, non cambierà mai nulla. E ci lamenteremo comunque.

Concludo con una proposta: per far capire meglio di cosa stiamo parlando, non chiamiamole più “Zone 30”, ma “Zone bambini”».

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