Urbanistica / Trento

Dopo il sequestro, il parere dell'architetto Bortolotti: «Il futuro dell'ex Sloi? Costruirci in altezza»

Il professionista sta progettando l’area Sequenza per i Podini e immagina il futuro della zona: dal piano Vittorini alla bonifica, «un’occasione per la città, però non come alle Albere»

di Domenico Sartori

TRENTO. Dall'alto, l'ex Sloi in abbandono è di nuovo preda del rimboschimento. È sotto sequestro, come l'area ex Carbochimica oltre i binari, verso est. Quarantacinque anni a vuoto, dall'incendio del luglio 1978.

Parlandone, per immaginare un futuro delle aree inquinate e di Trento nord, l'architetto-urbanista Roberto Bortolotti, sorprende citando Sisto V, Papa della Roma di fine '500.

Bortolotti è un professionista che maneggia con maestria il tema degli spazi e dei volumi (è tra l'altro docente alla Trentino Art Academy). Ha progettato diversi Piani regolatori. Ha lavorato a lungo in Spagna. A Trento, ha concepito il piano attuativo e il progetto delle Corti Fiorite, in via Fermi. E, per stare in zona, lungo via Maccani, sta progettando il futuro dei 2,8 ettari dell'area Sequenza (famiglia Podini, Gruppo Md) tra l'ex Sloi e via Vittime delle Foibe a sud.

Qui, sulla spianata a verde oggi in disponibilità di Rfi che la utilizzerà come area deposito- cantiere del bypass, si sta giocando una scommessa insieme culturale, architettonica e urbanistica. Quella della città verso il cielo, con tre torri svettanti, una di 60 metri. Lo sviluppo in altezza: una rivoluzione, a Trento. «Ma di questo progetto c'è poco da dire, ora. C'è un gruppo di lavoro col Comune per svilupparlo» dice Bortolotti.

Architetto, siamo ancora qui, dopo 45 anni, a parlare delle aree inquinate. L'emblema del fallimento di una classe dirigente pubblica e privata…

«È vero. Ma io spero che con il sequestro siano fatte tutte le indagini che servono. Per localizzare esattamente il piombo tetraetile della Sloi, per quantificare gli idrocarburi della Carbochimica. Oggi, c'è l'opportunità di definire un modello dell'inquinamento e del disinquinamento. Pongo la domanda: siamo sicuri che tutto il piombo tetraetile vada portato via, visto che non si muove? Sull'area Sequenza ci sono 19 pieziometri, 7 dei quali controllati da Appa. Emerge che il l'inquinamento in falda di piombo dietile e trietile sta diminuendo moltissimo negli anni».

Cosa si dovrebbe fare?

«Primo, affrontare il tema del disinquinamento del piombo tetraetile, molto pericoloso perché volatile, che però non si sa dove metterlo. E, seconda opzione, considerare di lasciarlo lì, tombare l'area, alzare la quota del terreno».

Per farne cosa, poi?

«Le due aree, dieci ettari, sono un pezzo di città, praticamente dentro la città, a poche centinaia di metri dal cavalcavia dei Caduti di Nassiriya. È nella logica delle cose che entrambe, ex Sloi ed ex Carbochimica, diventino pubbliche, con la variante al Prg che si avvia».

Lo erano già, in passato. E tuttavia sono state oggetto di speculazione e sono diventate private con destinazione privata: residenze, commercio, uffici. Una montagna di metri cubi…

«Sì, sono aree C6. All'origine ci fu il piano Bassetti: la logica dei tanti metri cubi (fino a 520 mila, ndr) in cambio del disinquinamento, cui poi si era rifatto il piano Gregotti. Con un piano unitario che ha bloccato tutto, anche aree fuori Sin come Sequenza. Prendiamo atto che l'urbanistica è cambiata. Che i tempi dei piani di piombo, dei Prg che bloccano tutto, sono finiti. Oggi, l'urbanistica deve essere per forza dinamica».

In concreto?

«Con il sequestro, la situazione è ottimale. Si fanno i sondaggi, si fa la variante sostanziale al Prg. E si coinvolgono anche i privati. Altrimenti, con l'esproprio, ci saranno ricorsi a non finire. E pure la città va coinvolta seriamente, con l'Urban center...».

Per metterci cosa, quali funzioni?

«Si è parlato della sede della Protezione civile e di tanto verde all'ex Sloi... Ma vanno coinvolti i privati. La logica è quella del piano attuativo, dell'accordo e scambio urbanistico. Come fatto per la cittadella del Poli in via Brennero. Un piano attuativo, come per le Corti Fiorite a Trento sud. Anche lì c'era un problema di inquinamento...».

Come l'avete risolto?

«In via Fermi c'erano le Officine Lenzi, con un ettaro e mezzo di coperture di amianto. È stato portato via tutto. E si è arrivati a sette piani».

Ecco, le altezze. C'è molto da fare…

«Vede, la città è stata castrata dal piano Vittorini (anni '80, ndr) che ha riprodotto quanto fatto a Roma da Papa Sisto V: altezza massima di 16,5 metri. Una "legge di dio", un tetto di cristallo solo raramente superato, come i 21 metri delle Corti Fiorite. Una legge che impone di occupare un sacco di suolo».

Anche il quartiere Le Albere disegnato da Renzo Piano ha subìto la stessa legge…

«Certo, sull'ex Michelin si è però scontato anche un limite ideologico, il voler pensare ad un quartiere come fosse un centro storico. Un approccio troppo meccanicistico. Il fatto è che Piano non è un grande urbanista: è un grande architetto. Il Muse è bellissimo ed è ciò che salva il quartiere. Alle Corti Fiorite sono stati realizzati 256 alloggi, un terzo housing sociale: tutti venduti. Alle Albere 340, una buona parte ancora vuoti».

A proposito di sviluppo in altezza, meglio Madonna Bianca e Villazzano 3?

«Sì, sono uno dei quartieri meglio progettati in assoluto. Allora, c'erano Kessler e i progettisti Armani e Giovanazzi: 14 piani, per di più ad inizio collina! A maggior ragione, nel fondovalle, dobbiamo ragionare sulle altezze, per parlare di qualità della vita a terra, di spazi verdi, pubblici, distanze tra gli edifici e luoghi di relazione. È ciò che c'è tra gli edifici che serve a capire come costruirli. È lo spazio che va creato, prima di tutto. Perché tutti gli edifici sono una scena pubblica e, appunto, generano relazioni. Creiamo spazi, prima che volumi, la piazza prima della cattedrale. È un cambio di paradigma».

Le due ciminiere all'ex Italcementi vanno conservate?

«Sì, assolutamente. Dire che sono insicure è banale: possono essere rese antisismiche semplicemente riempendole. Sono un bellissimo bene culturale. Il brutto delle Albere è che non c'è neanche un ricordo della fabbrica Michelin, se non il nome della Piazza delle donne lavoratrici».

comments powered by Disqus