Fusioni dei comuni premiate dai contributi Ecco quanto perde chi ha scelto il «no»

di Domenico Sartori

Interpretare la corsa alle fusioni tra comuni solo con la lente del «vil danaro» è riduttivo. Perché le questioni di fondo toccate negli oltre cento dibatti promossi in pochi mesi con il Consorzio dei comuni, sono state prima di tutto una grande occasione di confronto sul futuro delle comunità locali periferiche nell’epoca della globalizzazione impetuosa. Però far di conto ha giovato.

Il criterio del bastone e della carota, con un occhio al «raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica anche attraverso il contenimento delle spese degli enti territoriali», criterio guida della riforma istituzionale, che ha ridimensionato il ruolo delle comunità di valle.

Si può dunque calcolare quanto vale la «carota» cui hanno rinunciato i comuni che domenica, con il referendum, hanno rinunciato alla fusione. Si osservi la tabella qui sotto che indica i contributi regionali pro-fusione. Con due precisazioni: è una proiezione fatta, per ogni nuovo ente, dal Consorzio dei comuni. Proiezione perché la Regione, che eroga i contributi, è stata chiara: «In caso di insufficienza del fondo regionale destinato al finanziamento delle fusioni di comuni, il contributo annuale spettante alle singole fusioni è proporzionalmente ridotto». Seconda precisazione: mancano le cifre di tre nuovi comuni (Borgo Lares, Borgo Chiese e Ville d’Anaunia) che non hanno usufruito della valutazione sulla situazione socio-economica, i bilanci e i risparmi prefigurati, fornita dal Consorzio dei comuni. Ma il quadro è chiaro. Chi non si è «fuso», ha rinunciato a belle cifre.

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Si prenda Rendena Terme, comune bocciato dai due voti mancanti di Bocenago: tra risparmio sui costi di gestione degli amministratori, con la riduzione del numero di sindaci e assessori (919.764,6 euro in 20 anni), contributi per 10 anni sugli investimenti (817.666,67 euro) e contributi per 20 per le spese correnti (5.437.436,27 euro), si può dire che quei due voti valgono 5.437.431,27 euro. E il treno, questo treno carico di contributi, è passato. È infatti  già deciso che i comuni che in futuro vorranno andare a fusione, non beneficeranno più dei contributi sugli investimenti, ma solo di quelli sulle spese correnti: in volume ridotto (si ipotizza del 60%) e solo per 10 anni, non più per 20.
Non basta. Perché, accanto alla Regione, c’è la Provincia. E anche da questo versante non mancano i vantaggi.

Primo: il nuovo comune può sostituire (con una assunzione a tempo indeterminato e una a tempo determinato) chi è andato in pensione dopo il primo gennaio 2014. Per gli altri c’è il blocco delle assunzioni.

Secondo: al nuovo comune non vengono applicate le decurtazioni del fondo perequativo.

Terzo: per tre anni (che potrebbero diventare 5, come a livello nazionale) non è sottoposto al vincolo del patto di stabilità. Si prenda il nuovo comune del Primiero. Parte con un avanzo di amministrazione elevato (dote di oltre 5 milioni): li potrà investire, dando lavoro alle imprese locale, e non tenerli in cassaforte.


IL TESINO TEME DI PERDERE 7,5 MILIONI

In Tesino, in questi giorni, la preoccupazione è di avere perso, con la bocciatura della fusione, molto più dei 5,33 milioni, somma dei risparmi sui conti amministrativi (riduzione numero amministratori passando da tre ad un comune) e dei contributi della Regione sugli investimenti (per dieci anni) e sulle spese correnti (per venti).

La preoccupazione è di avere perduto anche i 7,5 milioni del progetto «Aree Interne»: un importo per metà coperto da Roma, per metà da Bruxelles attingendo a fondi europei. È un progetto pilota che interessa il Tesino e che la Giunta provinciale ha approvato a fine marzo. Il Tesino è stato scelto per attuare il progetto in considerazione della sua situazione socio-economica. Uno degli obiettivi è quello di migliorare le tendenze demografiche in atto, ridurre l’emigrazione e attrarre nuovi residenti. Dal 1921 ad oggi la popolazione nei tre paesi di Castello, Pieve e Cinte è calata del 44,72%, da 5.199 a 2.325 residenti. E la tendenza allo spopolamento non si ferma. «Una delle prerogative per l’ottenimento dei fondi e l’attuazione del progetto era la riorganizzazione territoriale attraverso la fusione» spiega Lucio Muraro, vicesindaco a Castello «un bando di 7,5 milioni aperto sia ai soggetti privati che ai Comuni. Le idee progettuali sostenibili sono molteplici, dal completamento della variante sulla provinciale 78 a Castello all’ipotesi di pista ciclabile. Quei fondi, ora, non sono più certi. Il presidente della Provincia Rossi è stato chiaro con noi: per attuare il progetto, serve la fusione tra i comuni».

Il «no» di Pieve, i 119 voti mancanti, potrebbe dunque avere compromesso il progetto pilota concepito per il Tesino. C’è però anche un’altra interpretazione dei requisiti richiesti. Il bando chiede che siano messe in atto forme di riorganizzazione tra i comuni. Da intendere, sperano in Tesino, anche attraverso la gestione associata, ora obbligatoria. Perduti i contributi della Regione, con la gestione associata dei servizi potrebbero dunque, forse, essere «salvati» i 7,5 milioni per il progetto pilota.

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