La sfida di due profughi

Soma Makan Fofana e Demelle Bobacary, 22 e 26 anni, hanno scelto di chiamare il loro negozio «All’ombra del baobab» come segno di buon auspicio. Nei giorni scorsi i due giovani profughi originari del Mali hanno sollevato per la prima volta le serrande del punto vendita nel cuore della Portela, dove non mancano gli spunti etnici e nemmeno i problemi di convivenza

di Laura Galassi

all'ombra del baobabIl baobab in Africa è un albero sacro: sotto il suo ampio ombrello naturale giovani e adulti si riuniscono per prendere decisioni importanti. Soma Makan Fofana e Demelle Bobacary, 22 e 26 anni, hanno scelto di chiamare il loro negozio «All’ombra del baobab» come segno di buon auspicio e perché sperano che tra qualche tempo esso possa diventare un punto di riferimento per la comunità. Nei giorni scorsi i due giovani profughi originari del Mali hanno sollevato per la prima volta le serrande del punto vendita di via Roma 26: tra gli scaffali si troveranno prodotti alimentari e oggetti artigianali africani. Un soffio di Continente Nero nel cuore di Trento, in un quartiere, quello della Portela, dove non mancano gli spunti etnici e nemmeno i problemi di convivenza.


Le pareti del negozio sono dipinte con colori caldi: ci sono disegni di felci e, ovviamente, un grande baobab all’ingresso, disegnato da Nicolò Veronesi. I neo imprenditori fanno fatica a trovare i termini italiani per descrivere ciò che venderanno; viene spontaneo usare il bambarà, la loro lingua natìa. Nomi esotici di ingredienti sconosciuti alla nostra cucina saranno appesi sulle etichette: il fufu, l’attieke e il banku, ovvero tre diversi tipi di farine, le plantains, cioè un tipo di banana, il tè kenkeliba, e la salsa ogbono sono solo una minima parte della merce che si troverà in via Roma. Per aiutare i profani, Soma e Demelle consegneranno ai clienti anche delle ricette per imparare a usare gli ingredienti.


Nonostante la giovane età, come molti loro coetanei, i due aspiranti negozianti hanno alle spalle una storia fin troppo complicata. Hanno lasciato le loro città natali, Kayes e Tassona, quando erano poco più che adolescenti e hanno trovato lavoro in Libia. Soma era occupato in una fabbrica di pasta, Demelle era un magazziniere. Con l’inizio della guerra tutto è cambiato. I maliani, perseguitati dalle milizie, avevano davanti a loro due alternative: combattere o scappare. «Il mare ci faceva e ci fa ancora molta paura, perché in Mali non esiste. L’idea di muoversi in un luogo dove non ci sono alberi o appigli ci terrorizza, ma non volevamo finire con una pallottola in testa», raccontano i due profughi.


Dopo diversi giorni in mare, sono approdati a Lampedusa il 13 maggio 2011 e da lì sono stati trasferiti al centro di prima accoglienza a Marco di Rovereto. Dopo aver seguito tutto l’iter per la richiesta dello status di rifugiato politico, hanno partecipato a un bando finanziato dal Ministero dell’Interno e dall’Unione europea, «Re-Lab» creato per promuovere iniziative imprenditoriali di persone titolari di protezione internazionale.

 

Il loro progetto di negozio etnico è stato selezionato tra molti altri in tutta Italia per beneficiare di finanziamenti e supporto per l’avvio dell’attività. Questa forma di sostegno, seppure di grandissimo aiuto, non elimina però il rischio d’impresa, altissimo in questo periodo di crisi. «Abbiamo cercato lavoro in tutti i modi, ma i nostri curriculum nemmeno li guardano. L’idea di dipendere dal sussidio pubblico non ci piaceva e abbiamo deciso di provare a camminare da soli», dice Soma Makan.

 

A differenza di molti giovani trentini, i due profughi non hanno una famiglia alle spalle che li può aiutare, anche se hanno trovato nella comunità trentina molto supporto. «Non abbiamo paura di fallire. Abbiamo già vissuto cose molto peggiori, anche se la burocrazia in Italia è veramente esagerata. Ti senti strozzato ancora prima di cominciare», ammette Demelle Bobacary. All’inizio, con ogni probabilità, saranno soprattutto africani a varcare la soglia di «All’ombra del baobab», ma il sogno dei due giovani è quello di riuscire a convincere anche i trentini ad acquistare nel loro negozio, superando la paura di provare qualcosa che non conoscono.

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