«Comunità di valle, un totale fallimento»

Se la classe dirigente trentina valutasse con questi criteri il corso ed il punto di approdo della «riforma istituzionale» varata nel 2006, che ha dato vita alle Comunità di valle, dovrebbe oggi costatarne l'irrimediabile fallimento

di Sergio De Carneri

voto referendum comunitàOnestà intellettuale: questo è il canone che, secondo Antonio Gramsci, dovrebbe presiedere alla analisi politica, soprattutto a quella intesa alla identificazione e alla valutazione degli errori in cui inevitabilmente l'azione politica incorre. È una sorta di autoanalisi diretta alla considerazione dei fatti nella loro dimensione obiettiva, senza condizionamenti di natura ideologica o di convenienza o di autoindulgenza, alla presa d'atto, per quanto afflittiva, degli errori, ed alla assunzione, con il necessario rigore, delle conseguenti scelte politiche. Ebbene, se la classe dirigente trentina valutasse con questi criteri il corso ed il punto di approdo della «riforma istituzionale» varata nel 2006, che ha dato vita alle Comunità di valle, dovrebbe oggi costatarne l'irrimediabile fallimento.


E anche qui sono i fatti a parlare: l'estraniamento o l'avversione di gran parte della popolazione trentina, l'indignazione della pubblica opinione nazionale per l'istituzione di nuovi enti elettivi in una provincia già afflitta da gigantismo burocratico, mentre è in atto un disboscamento di enti e organi nella stessa Carta Costituzionale, il rigetto da parte dei comuni dei nuovi enti considerati corpi estranei imposti dall'alto, ed infine i vizi di incostituzionalità che autorevoli costituzionalisti hanno rilevato nella legge, pronosticandone la sicura bocciatura da parte della Consulta.


La situazione attuale, dopo otto anni di tormentone che ha afflitto la vita pubblica trentina, vede una situazione di stallo poiché procedere sulla vecchia strada è impossibile, ma non si vuole tornare indietro. L'ulteriore prolungarsi dell'attuale stato delle cose è indegno di una classe dirigente che voglia essere all'altezza di questo nome. Ma un nuovo inizio richiede innanzitutto la identificazione dell'errore che ha inficiato alla base il progetto.


Esso consiste nel misconoscimento del ruolo e della forza istituzionale e politica dei comuni trentini. Trenta anni di monarchia sabauda, aggravati dal fascismo, hanno fatto scempio delle autonomie comunali, e una traccia di questo è rimasta nella cultura della classe dirigente trentina.
Tuttavia questa fu solo una parentesi poiché l'Impero d'Austria all'articolo 6 della Costituzione del 1867 garantiva l'autonomia dei comuni, assegnando addirittura ad essi la potestà di istituire imposte proprie, e lo Statuto speciale del Trentino Alto Adige del 1948 assegnava la potestà legislativa per la difesa delle autonomie locali alla Regione, e non alle Province, impedendo in tal modo che questi ultimi enti diventassero padri-padroni dei comuni. Ma c'è di più. Con successiva legge costituzionale la competenza regionale veniva estesa anche agli enti locali ed essa veniva elevata al grado primario, mentre la sentenza 132/2006 della Corte costituzionale proibiva qualsiasi ingerenza delle Province nelle competenze della Regione in materia di ordinamento dei comuni.


C'è da chiedersi a questo punto come sia stato possibile che la Provincia usurpasse le competenze della Regione e dei comuni istituendo sopra di essi un ente intermedio in cui questi hanno un ruolo del tutto sotto ordinato. La risposta sta nella usurpazione dei poteri del presidente della Regione, ad opera dei presidenti delle Province, che ne ha consentito la spogliazione. C'è da chiedersi ancora come possa la Provincia prevedere ulteriori interventi legislativi per «correggere» la sua legge sulle comunità, dal momento che la competenza in materia spetta alla Regione.


A questo punto «onestà intellettuale» vorrebbe che la attuale classe dirigente avesse il coraggio di un nuovo inizio, restituendo alla Regione, che ha da gran tempo legiferato in materia di ordinamento dei comuni, e ne ha efficacemente favorito le unificazioni ( senza misure coercitive) la potestà legislativa che le compete anche in materia di comunità di valle, in modo che queste siano finalmente espressione dei comuni stessi.


Altrimenti è sempre più probabile che sarà la Corte costituzionale a dirimere la questione.
Nel caso (tutt'altro che improbabile) di dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge «istituzionale», l'attuale classe dirigente dovrà rispondere nei confronti della collettività trentina del fallimento di una operazione che ha sconvolto la vita democratica del territorio per quasi un decennio, del discredito che ricadrà sulla autonomia trentina agli occhi della collettività nazionale, del dispendio di milioni di Euro, dell'avventurismo costituzionale e politico che ha contraddistinto fin dall'inizio questa vicenda. Tutto questo significherebbe delegittimazione.

 

Sergio De Carneri
Avvocato, già deputato e consigliere regionale

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