#trentoègiovane, le riflessioni di Alberto Valli

#trentoègiovane, le riflessioni di Alberto Valli

Per riflettere sul fenomeno della cosiddetta "movida" in centro storico occorre innanzitutto mettere bene a fuoco l'oggetto della discussione e dei contrasti.

Di che cosa stiamo parlando? Su questo punto è bene non fare confusione, perché altrimenti si perde di vista la materia del dibattito. Si tratta del problema legato alla presenza, all'esterno di alcuni locali pubblici, di numerose persone fino a notte inoltrata: queste persone con il loro comportamento causano ai cittadini residenti un pesante disagio, innanzitutto legato al disturbo del riposo notturno e inoltre connesso al degrado ambientale prodotto orinando sulle porte e sui muri delle case, vomitando in terra, rompendo vetri sul selciato, intrattenendo rapporti commerciali con spacciatori.

Questo problema è distinto da quello della criminalità in certe zone, come è distinto dalla questione dei concerti in luogo pubblico. Se si vuole capire correttamente il problema, questi fatti, su cui tornerò più avanti, è bene tenerli separati dalla "movida".

 

Qual è la ragione che ha portato a questa situazione di pesante disagio? Qualcuno risponde: non c'è niente da capire, i giovani si vogliono divertire, e lo fanno da sempre; Trento è una città universitaria, e a tutto questo ci si deve abituare. Questa analisi è sbagliata. Infatti, è assolutamente vero che i giovani ci sono sempre stati, e sempre hanno avuto desiderio di divertirsi, ed è altrettanto vero che l'Università a Trento è presente da cinquanta anni: ma i problemi legati alla "movida" si sono fatti evidenti solo negli ultimi tre/cinque anni. Gli studenti universitari a Trento sono circa 15000 da almeno dieci anni, e molti dei locali che sono al centro di questo fenomeno esistevano già decine di anni fa: però non c'erano proteste di residenti verso i clienti dei bar.

Che cosa dunque è cambiato? Due cose, collegate. Da un lato, da alcuni anni alcune persone (giovani e non) hanno cambiato il modo di intendere il divertimento, e questo modo non è più rispettoso delle regole della civile convivenza. Dall'altro, alcuni locali, per evidenti ma non nobili ragioni di massimizzazione del loro profitto privato, sostengono e in parte sollecitano questo comportamento.

 

In sintesi, si tratta di comportamento incivile e della ricerca di profitto privato che lo alimenta, senza preoccuparsi delle conseguenze negative per i cittadini.

Pongo alcune domande. Perché un locale deve ritenere lecito servire i clienti all'esterno, in area pubblica o addirittura di proprietà di altri privati, non ai tavoli per cui paga i diritti di utilizzo? È chiaro che è più conveniente non pagare i diritti, e avere comunque modo di trarre profitto dai clienti: ma è un comportamento che l'amministrazione comunale ritiene lecito, anche se porta a violare le regole della convivenza? E, ancora peggio, si ritiene che questo comportamento non legittimo possa proseguire anche in ora notturna, senza curarsi del disturbo del riposo che provoca quotidianamente?

 

Mi si permetta una citazione un po' lunga, ma importante: l'art. 13 del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Bologna (città universitaria per eccellenza) interviene sulla questione, e precisa che i titolari di pubblici esercizi devono assumere precisi impegni per "adottare misure idonee ad evitare lo stazionamento degli avventori nelle immediate adiacenze del locale intese come spazio pubblico interessato dall’attività con riferimento al comportamento degli avventori che possa determinare un disturbo alla residenza e/o ad altre attività, e a garantire che l’afflusso della clientela all’esercizio non costituisca disturbo della quiete pubblica o ostacolo al passaggio dei pedoni, all’accesso alle abitazioni e alle attività circostanti nonché al traffico veicolare, anche avvalendosi di personale incaricato all'ordinato svolgimento delle attività d'impresa, alla prevenzione dei rischi, alla mediazione dei conflitti". Dunque l'amministrazione comunale bolognese sembra avere colto la non ammissibilità dei comportamenti che a Trento vediamo permessi senza riflessione alcuna. È troppo chiedere all'amministrazione trentina che affronti la questione con provvedimenti analoghi, e con verifica rigorosa della loro applicazione soprattutto dopo una certa ora (diciamo dopo le ore 23)?

 

Questo è il problema della "movida": sorto negli ultimi anni, e lasciato crescere senza governarlo. Ma gli interventi sono possibili, e dovrebbero stare molto a cuore ad un'amministrazione pubblica, perché hanno a che fare con una questione molto importante per tutti: la civile convivenza.

 

Resta da dire qualcosa su che cosa la "movida" non è, benché spesso si sentano affermazioni che la collegano impropriamente ad altri aspetti.

La "movida" non è necessaria per gli esercizi pubblici del centro storico. L'affermazione contraria è perlomeno superficiale: per le ragioni dette sopra, è chiaro che fiancheggiare la "movida" permette di massimizzare i profitti, ma, per fare un solo esempio, nel palazzo in centro in cui io risiedo è presente un bar, con la stessa gestione da almeno 15 anni, che chiude verso le 20.00, salvo qualche eccezione, e che continua la sua attività senza apparenti difficoltà.

La "movida" non ha nulla a che fare con la cultura. Le manifestazioni culturali, dirette ai più giovani ma non solo, sono ambito di intervento importante per un'amministrazione moderna, e gli assessorati competenti hanno il dovere di individuare proposte significative. Ma qualunque intervento culturale, fosse anche quello di un concerto di Claudio Abbado con l'Orchestra Haydn, deve rispettare le regole della civile convivenza: neanche ad Abbado può essere permesso di suonare ogni sera fino ad oltre mezzanotte in un luogo pubblico attorniato da residenze. La cultura deve esplicarsi in luoghi e con tempi che siano compatibili con la vita (e il riposo) di tutti.

 

La "movida" ha ben poco a che fare con la sicurezza. È una mistificazione sostenere che la presenza di locali aperti fino a notte inoltrata, che servano all'esterno i loro clienti, è un deterrente per la criminalità in città. Purtroppo ne abbiamo avuto un esempio nelle scorse settimane: una donna è stata violentata di notte in centro, a poca distanza da alcuni di questi locali, aperti in quel momento. Anche qui una banale riflessione potrebbe servire a chiarire meglio il punto: è evidente che esattamente di fronte ai locali uno stupro non è concepibile, per la presenza dei clienti. Ma essi sono appunto concentrati lì, e a cento metri di distanza a notte fonda non c'è ovviamente nessuno, e nessun controllo "sociale". Al contrario, la presenza evidente di persone di fronte ai locali a tarda notte dà ad un criminale la certezza di poter seguire da lì a non molto una donna sola che si avvii verso a casa o si allontani dal gruppo: esattamente la dinamica del caso trentino di un mese fa.

 

La "movida" non va assolutamente confusa con la criminalità che si manifesta in certe zone di Trento. Questo problema, che è di ordine pubblico e non semplicemente di civile convivenza, richiede interventi mirati ben più complessi e determinati. Il problema dello spaccio, uno dei più evidenti assieme allo sfruttamento della prostituzione, va aggredito a vari livelli, colpendo sia piccoli spacciatori che grandi trafficanti, e necessita di interventi coordinati e determinati. Resta però il fatto che qualche contatto fra "movida" e spacciatori è evidente a chiunque abbia avuto modo di osservare gli scambi commerciali fra questi attori: agli spacciatori è necessario essere facilmente raggiungibili dai clienti, ed è  conveniente non essere troppo lontano da loro. E ai bordi della "movida" gli spacciatori si vedono sempre e con piena evidenza.

 

Concludo. Non si sta sollevando un problema a cui rispondere con una alzata di spalle, perché ha a che fare con una cosa molto preziosa per tutti noi: la civile convivenza (e le sue regole). Sbaglia grossolanamente chi leggendo finisca per pensare "la questione non mi riguarda, io non vivo in centro storico e non sono toccato". Perché chi lascia che si avvelenino i pozzi, prima o poi berrà acqua avvelenata.

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