Consumo / Cassazione

Compra un Picasso rubato, ora lo deve restituire alla legittima proprietaria

Il disegno (“Buste d’homme 1960”, matita su carta) è al centro di un’indagine per ricettazione con tre gradi di giudizio. Acquistato per 90mila euro nel 2006 da Bastoni, manager morto nel 2020, troverà dimora presso la casa della figlia di un collezionista che lo aveva ricevuto in eredità dal padre

IL FATTO Restituito un dipinto su cuoio del ‘600 alla chiesa di Tesero 
I DATI I furti d'arte nel 2022

ROVERETO. Un Picasso (“Buste d’homme 1960”, matita su carta, cm 55x42,50), un’indagine per ricettazione e tre gradi di giudizio. Sono questi gli ingredienti della vicenda che parte da Parigi, passa per Roma e Milano e arriva a Rovereto. Al centro di tutto un quadro di Pablo Picasso acquistato quasi 20 anni fa da Osvaldo Bastoni (il manager morto nel 2020) e che la Cassazione ha “aggiudicato” ad una romana, figlia di un gallerista.

È il 2006 quando Bastoni acquista per 90mila euro - così si legge nella sentenza dei giudici di piazza Cavour - il disegno di Picasso. Acquisto che viene perfezionato in un luogo “sicuro”, una galleria d’arte, e che viene pagato un cifra definita congrua e che viene accompagnato dalla documentazione necessaria, compreso l’attestato di libera circolazione emesso dal ministero dei beni culturali. Il “pezzo” finisce sotto sequestro nell’ambito di un’indagine per ricettazione che non tocca i protagonisti principali di questa vicenda.

Ma nel 2014 il manager roveretano viene chiamato in giudizio da una donna che rivendicava la proprietà di quel disegno. Spiegando «di essere proprietaria del disegno - riportano i giudici nella sentenza - per averlo ricevuto in eredità dal padre, titolare della galleria d’arte “la Nuova Pesa”, il quale, a sua volta, lo aveva acquistato negli anni ’60 da una galleria d’arte di Parigi, e soggiunse che il quadro le era stato sottratto nel 1984».

Una pretesa alla quale Bastoni e la figlia risposero che quel disegno era di loro proprietà, che era stato acquisto in buona fede e nel luogo deputato per l’acquisto di un’opera d’arte, ossia una galleria. La vicenda fu decisa in primo grado dal tribunale di Rovereto che diede ragione alla figlia del gallerista, decidendo quindi che l’opera non fosse più dei Bastoni e ordinandole la restituzione. Stesso finale anche per il processo in appello.

Ed è così che i Bastoni portano la vicenda in Cassazione senza però arrivare a fine sperato, ossia la restituzione di quel quadro. Fra i motivi proposti anche la censura sulla sentenza di appello che «aderendo in maniera acritica al ragionamento del Tribunale di Rovereto, ha negato l’originaria buona fede» nell’acquisto del bene. Per la Cassazione non è il terzo grado di giudizio quello in cui posso essere valutati un’altra volta i fatti già vagliati dai giudici di merito.

Quello di Rovereto in particolare aveva messo in evidenza «che non era mai esistita alcuna certificazione di provenienza del bene, in relazione ai vari passaggi di possesso dell’opera». Insomma non c’era la tracciabilità di chi aveva avuto la proprietà del disegno. Un altro motivo del ricorso alla Cassazione è legato alla mancata ammissione delle prove orali. Ma, si legge nella decisione finale, non è stata data “garanzia” del fatto che «la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità»

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