Michela, in trincea al Covid-center di Rovereto: «Come soldati a difesa dei nostri malati»

di Luisa Pizzini

«In questi giorni, in questi dannati giorni, un cocktail di emozioni accompagna pensieri, speranze, paure, desideri. Tutto è messo in discussione». Michela Azzolini, infermiera del reparto di alta intensità dell’ospedale di Rovereto, mette i suoi pensieri nero su bianco. Prova ad ancorare ad uno scritto le emozioni di questi giorni in cui la sua vita è stata stravolta da un virus tanto pericoloso quanto indecifrabile.

«Al lavoro una confusa incertezza scolora le nostre giornate in cui si alternano momenti felici e inconsciamente spensierati a momenti di pianto e di sconforto. Ti senti sola nelle tue emozioni, vuoi proteggere i tuoi affetti più cari. I tuoi bambini, che sono pronti e disegnano l’arcobaleno per partecipare alla positiva speranza. La loro ingenuità e la loro speranza mi commuovono. Sento un nodo alla gola. Anche per loro sono giorni di emozioni diverse, compresa la noia dello stare a casa e del loro bisogno di uscire e calciare un pallone, fare una corsa con l’amica e andare con il monopattino. Ma il coronavirus ferma tutti».
Michela è una dei tanti infermieri impegnati sul fronte. Snocciola i suoi pensieri e ci accompagna in quei reparti dove si manifestano gli effetti più devastanti del coronavirus. Ma ci apre anche le porte di casa, idealmente di tutte quelle famiglie che, come lei, convivono con chi lavora negli ospedali. Tra orgoglio e preoccupazione».

«Entri nel tuo ospedale e ti fermano per disinfettarti le mani, ti chiedono dove stai andando. Diventi un sospetto anche tu e ti senti un sospetto anche tu, non vedi l’ora di uscire, di uscire da quell’incubo. Hai paura di non essere forte, di non essere attenta, di non essere all’altezza di sconfiggere quel microscopico nemico. Hai paura di trovarti in difficoltà, hai paura per i tuoi affetti, per i tuoi sorrisi, per il tuo spirito che giorno dopo giorno si spegne per fare spazio ad una forza che nemmeno tu sai dosare e calibrare. Tutto è incerto, mille domande, nessuna risposta. Nessuno sa: chi è più positivo, chi è più negativo».
Una volta finito il turno i pensieri non cambiano.

«Passi dal centro della protezione civile a Marco, un ospedale da campo pronto. Ti sale il nodo alla gola, pensi al peggio. Ripensi alle frasi dette sul corridoio della sala operatoria da alcuni medici, da chi puoi fidarti. Ti distrugge dentro questo pensiero. Pensi a quello che si aspettano gli esperti. Vuoi sentire i numeri della giornata del tuo Trentino, dell’Italia e iniziano i primi decessi nel tuo territorio, i casi aumentano. Desideri sentire qualcuno che esprime un miglioramento, un messaggio di stabilità, una speranza di finire questa guerra. Non riesci a parlare al telefono con un amico, un’amica, un parente. Hai paura di piangere davanti ai tuoi affetti e ti fai vedere forte. Ti nascondi per esprimere dentro di te con un pianto silenzioso la tua paura che niente e nessuno può fermare. Mangi nella speranza che quel nodo in gola venga deglutito, ma non è così. Ti rendi conto che hai bisogno di metabolizzare la vita, hai bisogno di accettare che il peggio deve ancora arrivare, che tutto deve ancora accadere. Che tu sarai al fronte come un soldato a difendere i tuoi malati, ad unirti ad un gruppo che ti darà la forza per affrontare tutto. Dovrai lasciare il tuo gruppo di lavoro e non lo saluti perché non sai come salutarlo, perché non sai che appuntamento dare».

La speranza però fortunatamente non abbandona chi lavora in prima linea senza tirarsi indietro. «Tutto questo, caro coronavirus, causato da te e da chi ti ha creato. Tutto questo, coronavirus, quello che posso dire su questa guerra tra me e te. Adesso sei tu il più forte ma stai attento perché sono determinata e piano piano raggiungo sempre il mio obiettivo e non vorrei che tu ci rimanessi male... Stai attento Covid-19 perché “Andrà tutto bene”».

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