Crisi: cinquanta esuberi alla Marangoni di Rovereto

La voce era nell’aria da due settimane. E fiaccava uno stabilimento già in tensione per la morte dell’operaio Carmine Minichino

La voce era nell’aria da due settimane. E fiaccava uno stabilimento già in tensione per la morte dell’operaio Carmine Minichino. Ma il fatto che nessuno la confermasse, qualche speranza la concedeva, agli operai Marangoni. Invece ieriè arrivata la comunicazione ai sindacati. Cinquanta esuberi.
 
Formalmente l’azienda chiede la cassa integrazione straordinaria per 50 lavoratori, a partire dal 24 agosto, giorno del rientro dalle ferie dei 290 dipendenti. Ma ai sindacati è stato chiarito: a fine corsa la cifra di 50 finirà sotto la riga esuberi.
 
Una doccia fredda a meno di un anno dalla firma dell’accordo, faticoso e contestato, che ha portato i lavoratori a rinunciare a mezz’ora di pausa mensa ogni giorno e al lavoro otto sabati l’anno a parità di salario. Ed ora i sindacati proprio quell’accordo mettono in discussione: «A questo punto è da rivedere» sbotta Alan Tancredi, della Uil.
 
Ma partendo dalla comunicazione, che come di prassi arriva da Confindustria, l’azienda ricorre alla cassa a causa dei «risultati gestionali involutivi e nelle previsioni per i prossimi 12 mesi che evidenziano una grave contrazione dei mercati di riferimento e conseguentemente delle vendite». Da qui la contrazione dei volumi produttivi, «principalmente delle linee della ricostruzione autocarro a caldo, della ricostruzione movimento terra e della ricostruzione TL/4x4, con ripercussioni negative anche sulla produzione di mescole e semilavorati per uso interno».
 
La cassa riguarderà a rotazione tutto il personale, quindi sia operai che impiegati e intermedi. Ma è evidente che non tutti saranno toccati in modo uguale: l’azienda chiarisce subito che «la drastica riduzione di attività di alcune linee produttive comporterà l’impossibilità di effettuare la rotazione del personale privo di fungibilità di mansioni». Il che significa 15 persone, che verosimilmente non rientreranno più dalle ferie per un anno intero.
 
Fin qui la volontà dell’azienda. Che aprirà ora una vertenza sindacale tutto tranne che semplice. Perché c’è un problema di rappresentatività, prima di tutto, in una fabbrica che da un anno non riesce ad eleggere la propria Rsu. E perché dopo l’accordo di secondo livello il clima non è semplice: l’azienda aveva ottenuto una riduzione del costo del lavoro del 10%, a fronte del quale ci sarebbero dovuti essere pesanti investimenti. Ma la commissione con il compito di vigilare sul timing di questi investimenti nemmeno c’è: senza Rsu non è possibile nemmeno nominarla.
 
Non solo. Quell’accordo era costato più di un po’ ai sindacati confederali, in termini di tessere e di malcontento crescente in azienda. Un prezzo da pagare nell’ambito di una strategia di rilancio. Sotto quella strategia, però, sono rimasti soprattutto i sindacati confederali. Che si vedono arrivare una richiesta di cassa integrazione - e un annuncio di esuberi - difficilmente spiegabili ai lavoratori.

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