Rovereto: Marangoni, operai pronti allo sciopero

Formalmente è stato proclamato lo stato d'agitazione. Ma nell'aria almeno alcune forme di sciopero già sono messi in conto. Alla Marangoni Pneumatici la proposta dell'azienda di subordinare gli investimenti alla riduzione del costo del lavoro proprio non è andata giù. Perché - questa la linea largamente maggioritaria, ieri in assemblea - loro hanno già dato. Con la cassa integrazione degli ultimi mesi, ma non solo

di Chiara Zomer

Formalmente è stato proclamato lo stato d'agitazione. Ma nell'aria almeno alcune forme di sciopero già sono messi in conto. Alla Marangoni Pneumatici la proposta dell'azienda di subordinare gli investimenti alla riduzione del costo del lavoro proprio non è andata giù. Perché - questa la linea largamente maggioritaria, ieri in assemblea - loro hanno già dato. Con la cassa integrazione degli ultimi mesi, ma non solo. Con la disponibilità, sempre garantita, alle modifiche di orario per andare incontro alla produzione. Adesso basta. Da qui la scelta: stato d'agitazione, immediata richiesta di un incontro urgente in Provincia con mobilitazione in occasione dell'eventuale colloquio con l'assessore all'Industria Alessandro Olivi. E non solo. Perché nell'aria - ma sarà la Rsu a rendere noti tempi e modi, forse nella giornata di lunedì - c'è uno sciopero. Per dare un segnale preciso, all'inizio di una trattativa che si preannuncia tutta in salita oltre che estremamente delicata.
I lavoratori, ieri in assemblea, hanno sentito insomma in via ufficiale quel che avevano letto da indiscrezioni stampa. E quel che hanno sentito non è piaciuto loro. Perché l'azienda, che si appresta ad avviare un piano d'investimenti di 8 milioni di euro per rinnovare gli impianti e realizzare un unico «centro mescole» per il settore Europa, ha subordinato il progetto alla riduzione del 10 per cento del costo del lavoro. Sul fronte degli investimenti, si tratterebbe di tre milioni per il centro mescole, un milione e 200 mila per stampi, 2 milioni per processi produttivi e 600 mila euro in movimento terra nonché altri fondi da investire in miglioramento ambientale e sistemi informativi. Il problema è l'entità dei sacrifici chiesti. Economicamente una mazzata per i lavoratori, perché l'azienda ha parlato di non applicare il contratto nazionale, che il 9 gennaio scorso ha stabilito un aumento medio di in tre anni di 124 euro. Ma soprattutto ha quantificato i risparmi che si attende: il 10 %. Cioè, a fronte di 23,1 euro medi orari pro capite (tanto costa un dipendente all'azienda), si vuol arrivare a 20,27. Significa, calcolano i sindacati, un taglio medio di 3.696 euro a testa e, in busta paga per ogni lavoratore, circa 2500 euro lordi. Troppi, per essere accolti dall'assemblea con qualcosa di diverso dalla frustrazione. Da qui la decisione: si va allo scontro. Già da oggi sono bloccati gli straordinari, da lunedì si chiarirà meglio la strategia, in termini di astensione dal lavoro. Perché l'opinione quasi unanime era chiara: è inaccettabile, che dopo aver ricevuto 41 milioni di lease back dalla Provincia, nonché altri fondi dalla procedura negoziale, ora l'azienda chieda un contributo ai lavoratori. Gente che viene dalla cassa integrazione, e che in passato si è dimostrata disponibile alle richieste dell'azienda: «Quando la Marangoni ne ha avuto bisogno hanno lavorato il sabato stando a casa il venerdì - osserva Corrado Dalvit, Femca Cisl - hanno modificato i propri orari per seguire le esigenze della produzione ogni volta si rendesse necessario. Insomma, hanno già dato. E adesso considerano inaccettabile il principio stesso del ragionamento: sì agli investimenti, ma a patto che i lavoratori rinuncino a parte dello stipendio».
«La piccola Fiat trentina ancora una volta cerca contributi - scrive Alan Tancredi, Ulitec Uil -  Questa volta non dalle casse pubbliche ma dalle tasche dei lavoratori». Da qui l'avvio della vertenza, che si preannuncia non semplice. Ma con un punto di forza: un'assemblea compatta, e un fronte sindacale unito. Altrove non è sempre stato così.

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