Alto Garda / Il personaggio

Eleuterio Arcese, il ciociaro da un miliardo di euro compie novant'anni

Arco, oggi, 2 luglio, il compleanno del noto imprenditore partito da ragazzo dalle campagne laziali, che in Trentino ha creato una realtà economica di primo piano nei trasporti. «Il mio più grande rammarico? Non mi hanno lasciato fare qualcosa per dire grazie a questa comunità che ci ha ospitati Villa Angerer, il centro ippico poi fatto negli Usa, il Palazzetto dello Sport Sempre solo tanti “no”»

di Claudio Chiarani

ARCO. Coraggio signor Arcese, si confessi. «Io? Confessati tu piuttosto!».

Oggi, domenica 2 luglio 2023, Eleuterio Arcese, l'imprenditore "scugnizzo di campagna" come Umberto Cutolo scrisse nel libro a lui dedicato in occasione dei suoi ottant'anni, ne compirà novanta. E quel «confessati tu» diretto a chi gli sta davanti nel suo ufficio non è per il giornalista che è diventato, ma a quell'impiegato che nel 1979 lui assunse per dirigere il movimento su strada dei suoi primi 120 bilici Fiat Iveco «190 Turbo star», bellissimi.

Un sorriso e una chiacchierata tra datore di lavoro ed ex dipendente, farcita di ricordi e momenti che chi scrive oggi non dimenticherà mai, perché in quell'azienda ha imparato qualcosa che poi, più avanti e in un'altra metterà a frutto.

«Che vuoi che ti dica - racconta dopo l'ennesima telefonata, e sono appena le nove di mattina - che oggi ho pagato di persona tasse per 893.000 euro? Che il gruppo familiare che vedi ne ha pagato nove e mezzo (milioni di euro, ndr)? Che il nostro fatturato 2022 ha superato il miliardo? Poi che altro vuoi sapere?».

Eleuterio Arcese nasce ad Arce, Frosinone il 2 luglio del 1933 quando l'astro di Mussolini è al suo massimo, l'Italia è al fianco della Germania e le prime luci del secondo conflitto mondiale sono ancora lontane dall'essere. L'Italia con il trasvolatore Italo Balbo si fa luce nel mondo, ma nelle campagne della Ciociaria il ragazzino Arcese - figlio di Giovanni e Antonia Maini, agricoltori di professione con un negozietto di alimentari - pedala nelle campagne della Ciociaria per andare nel casale del nonno ed aiutarlo a spingere le mucche, seminare il grano, raccogliere il letame. Non poteva che chiamarsi Eleuterio, nome di un pellegrino straniero contro il quale un oste aizzò dei cani a metà del VII secolo, ammansiti poi dallo stesso e, infine, eletto a patrono della cittadina. Eleuterio è nipote di Domenico e Margherita, il primo tornato dall'America perché per un incidente sul lavoro si amputò un braccio.

«Di quei giorni tremendi - racconta - ho impressa la morte di una compagna di scuola per i bombardamenti degli alleati, su Montecassino, ma anche l'ufficiale tedesco che, non volendo consegnare il nonno le sue mucche per i soldati che stavano rastrellando le campagne in cerca di cibo, estrasse la Luger e lo uccise davanti a me. Episodi che sono ben impressi nella mia mente come se fossero accaduti ieri».

Era il 15 marzo del 1943, e lui undicenne ragazzino che faceva anche il magazziniere per i tedeschi ricevette quale durissima lezione di vita. Poi arrivarono gli americani e la vita in Italia riprese. A fatica ma riprese.

Dicono che gli occhi siano lo specchio dell'anima, e quelli chiari di Eleuterio Arcese non nascondono nulla. Lo capisci che ciò che racconta è la verità, quella schiettezza che nella vita gli ha sempre permesso di dire ciò che pensa, senza tanti giri attorno. Come quando uscì la notizia che voleva comperare la squadra di calcio del Verona.

«Io i calciatori li manderei tutti a lavorare» disse intervistato da un'emittente veronese, ma Arcese ne ha anche per i politici "rei" a suo dire di parlare troppo e fare poco.

«Sai cos'è che rimpiango - dice rispondendo alla domanda - di questa terra? Di non aver potuto, meglio, di non essere stato messo nelle condizioni di fare qualcosa per dire "grazie" a questa comunità per avermi accolto e per aver permesso di far diventare la mia famiglia, l'azienda di famiglia, ciò che ora è. Avrei voluto fare di Villa Angerer un centro d'eccellenza per l'alimentazione. Ho speso più di centomila euro di progetto poi gettati al vento. La strada per salire a casa mia, lassù sull'Olivaia, se è stata allargata è dopo che l'ho chiesto io. Vogliamo parlare di Palazzetto dello Sport? Avevo l'idea, il progetto e il terreno, nulla. Il centro ippico? Negato anche quello, questi "no" sono il mio più grande rammarico, credimi».«Il desiderio di vincere non dorme mai».

È la scritta che campeggia su un quadro ligneo alle spalle dell'imprenditore, la figura è un cavaliere che conduce il suo destriero verso alti orizzonti, il significato è chiaro.

«Mi piacciono i cavalli - dice - ma sono dovuto andare in America dove ho fondato l'Arcese Quarter Horses Usa. Qui non me lo hanno permesso, là vinciamo tante competizioni. Ho un ranch dove lavorano una quarantina di persone, il nostro gruppo dà lavoro ad oltre tremila dipendenti, mai fermarsi».

La famiglia, la moglie, i figli, i nipoti, una "stella polare" scrive Cutolo nel presentare Eleuterio Arcese ai lettori sempre davanti agli occhi ad ancorarlo alla realtà quotidiana in ogni giorno della sua lunga traversata.

Un libro sulla scrivania dal titolo "Michele Ferrero: Condivisione dei valori per creare valore", autore Salvatore Giannella. Chi ama la cioccolata sa chi è Michele Ferrero, il proprietario di una grande azienda piemontese tutto vanto italiano.

Eleuterio Arcese, ne siamo convinti, ha saputo fare altrettanto: le sue intuizioni, i suoi successi sono dovuti, certo, anche alla fortuna di aver iniziato con un piccolo mezzo il trasporto di carta nella sua Ciociaria e poi di aver conosciuto colui che fece le Cartiere del Garda, Tito Legrenzi, proprietario delle Arti Grafiche Bergamo.

«Noi terroni facevamo un viaggio al giorno - racconta orgoglioso di quell'epiteto - ed erano i percorsi più brutti e difficili, ma non ci tiravamo mai indietro. In Cartiera a Riva, quando Legrenzi mi chiese di venire su qui al nord, incontrai la persona che sarebbe diventata la mia signora, Fiorella Reigl.

Faceva le bolle di trasporto, m'innamorai, le regalai una borsa che presi del negozio Bresciani a Riva. Era il tre maggio del 1962, ci siamo sposati nel 1964 e la ditta Arcese ha iniziato ufficialmente nel 1966 la sua attività. E siamo ancora qui». Auguri di cuore signor Arcese, anzi "Terio".

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