Ex Argentina: sequestro, reazioni e storia

Quasi 120 porzioni materiali sotto sequestro preventivo, una ventina di appartamenti (quelli invenduti), garage, box auto, cantine. Il tutto per un valore che supera i 10 milioni di euro. E dieci indagati tra i quali l’imprenditore rivano Roberto Miorelli (legale rappresentante della Cosmi srl), il fratello Gianluca Miorelli (all’epoca dei fatti amministrazione delegato della Cosmi spa ora appunto Cosmi srl), l’attuale vicesindaco di Arco Stefano Bresciani (Patt), la dirigente dell’area tecnica del Comune Bianca Maria Simoncelli e la funzionaria dell’ufficio edilizia privata del Comune Tiziana Mancabelli. Oltre ai membri tecnici della commissione edilizia che diede il via libera al progetto e ai progettisti della «Cosmi Costruzioni».

«Lottizzazione abusiva aggravata in concorso» è il reato contestato a tutti, almeno per il momento. Questo il primo steep importante dell’inchiesta avviata quasi due anni or sono dalla Procura della Repubblica di Rovereto per far luce sulla procedura di approvazione del progetto che ha poi dato alla luce l’enorme complesso sorto al posto dell’ex sanatorio Argentina, proprio sopra il parco Arciducale. Indagine aperta sulla base di un esposto presentato dal consigliere provinciale Claudio Civettini e dalle segnalazioni, sempre sotto forma di esposto, firmate dall’associazione Italia Nostra e dal Comitato «Salvaguardia dell’Olivaia».

Quasi due anni di indagini, montagne di carte sequestrate in Comune ad Arco, una corposa perizia tecnica che avrebbe evidenziato tutta una serie di anomalie. E adesso il sequestro preventivo, richiesto dal titolare del fascicolo (il sostituto procuratore Valerio Davico) e firmato proprio in questi giorni dal gip del tribunale Riccardo Dies. Per arrivare alla mattinata di mercoledì quando i carabinieri del Noe di Trento (il nucleo operativo ecologico) sono entrati in azione mettendo i sigilli agli appartamenti invenduti e ai garage dell’ex Argentina.

La giornata dei militari del Noe comincia di buon mattino, affiancati dai colleghi della stazione di Arco. Ed è proprio nella caserma di via Nas che si reca anche l’attuale sindaco Alessandro Betta per ricevere comunicazione ufficiale della decisione del tribunale che lo nomina «custode» dei beni posti sotto sequestro. I militari notificano il decreto di sequestro a gran parte degli indagati e in tarda mattinata salgono in collina per apporre materialmente i sigilli ai beni posti sotto sequestro. Un’operazione complessa ma discreta, che si conclude di fatto solo nel tardo pomeriggio.

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Gli altri cinque indagati sono l’ingegnere Massimo Favaro, membro esperto della commissione edilizia nel 2009, l’architetto Giorgio Bellotti di Arco, anche lui membro della commissione edilizia che approvò il progetto, e i progettisti della «Cosmi srl» Bruno Ferretti, Alessio Bolgan e Mariano Zanon, quest’ultimo direttore dei lavori. Per tutti e dieci gli indagati l’attuale contestazione mossa dalla Procura è di «lottizzazione abusiva aggravata in concorso» in quanto avrebbero consentito la realizzazione dell’intervento edilizio in contrasto con l’articolo 75 del Piano regolatore generale e del regolamento edilizio del Comune di Arco. L’oggetto da cui discende tutto è la concessione edilizia numero 74, rilasciata dal Comune di Arco il 31 luglio 2009 ma vistata dalla commissione edilizia il 21 maggio dello stesso anno (il sindaco dell’epoca era Renato Veronesi). Secondo l’accusa i passaggi di quella concessione, e quindi le ricadute concrete in termini ambientali, che avrebbero violato Prg e regolamento edilizio sono svariati.

In primo luogo chi ha presentato il progetto e poi costruito, ma anche i funzionari che avevano il compito di istruire la pratica e i membri della commissione edilizia si sarebbero completamente disinteressati degli elaborati con lo «stato di fatto» e con il calcolo analitico dei volumi esistenti. Con il risultato che, afferma la pubblica accusa, è stata realizzata una consistente volumetria non consentita. In pratica tra volumetria emergente e volumetrie definite come «interrate» ma di fatto emergenti (i garage sono sul fronte strada e non sottoterra) si parla di qualcosa pari a circa 30 mila metri cubi «illegittimi». Tutt’altro che bazzeccole in una zona oltretutto pregiata come l’antica olivaia di Arco. L’accusa contesta anche il fatto che il corpo principale (quello storico) è stato demolito quando non doveva esserlo e i lavori di sbancamento avrebbero interessato circa 114.500 metri cubi di terreno anziché i 23 mila autorizzati.


LE REAZIONI

È una vicenda giudiziaria che avrà delle inevitabili ripercussioni politiche nelle prossime settimane e degli strascichi altrettanto importanti. Anche perché, tra le dieci persone che da ieri risultano indagate nella vicenda del sequestro parziale del compendio residenziale dell’ex Argentina, c’è anche l’attuale vicesindaco Stefano Bresciani, presidente della seduta della commissione edilizia che, nel 2009, aveva dato di fatto il via libera alla concessione e al progetto edificatorio dell’«Olivenheim». I fatti risalgono quindi a circa sette anni fa. Stefano Bresciani era presente a quella riunione tecnica in qualità di vicesindaco e unico rappresentante «politico», poiché Renato Veronesi, al tempo primo cittadino e presidente della commissione, non aveva potuto presenziare.

Tranquillo ma certamente amareggiato, lo stesso Bresciani interviene per spiegare la sua posizione: «Non si tratta di presunti illeciti politici o amministrativi - sottolinea il vicesindaco di Arco - l’inchiesta fa riferimento a degli aspetti puramente tecnici, rispetto al calcolo dei volumi, ed è per questo che sono indagati solo una parte dei membri della commissione edilizia; nei capi d’imputazione non si parla di corruzione o di cose simili, e questo mi preme sottolinearlo, è un aspetto fondamentale. Si tratta di eventuali errori, tutti da accertare e verificare, che diventano di rilevanza penale in quel campo quando si rilascia una concessione edilizia, anche se io non sono un tecnico».

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È infatti ancora tutto da appurare il ruolo di Bresciani in questa vicenda: «Chiarirò la mia responsabilità in termini di competenza all’interno di quella commissione - spiega - ero presente in qualità di vicesindaco in assenza del sindaco, non ero nemmeno l’assessore competente in materia. Questo ovviamente non lo dico per una mancanza di responsabilità, anzi, sotto questo aspetto sono tranquillissimo e vorrei fare luce sulla vicenda quanto prima. Ovviamente mi dispiace, se ci sono stati degli errori o delle mancanze è giusto che la giustizia faccia il suo corso».

Il sindaco Alessandro Betta sottolinea l’assenza di ipotetici reati contro la pubblica amministrazione: «Si tratta di presunti reati legati a danni ambientali e ad aspetti tecnici - chiarisce il primo cittadino -quando c’è un indagine in corso ci deve essere comunque il massimo rispetto per il lavoro della magistratura, dall’altra però voglio dare la massima solidarietà a tutte le persone che si trovano nella situazione di dover rispondere e giustificare la propria posizione perché sono convinto della buona fede degli interessati. Questa vicenda porta a delle profonde riflessioni, anche mie a livello personale, per le future scelte politiche e amministrative. Ovviamente noi andiamo avanti, sempre con la massima trasparenza e partecipazione».

La vicenda non poteva non scatenare reazioni anche sul fronte delle opposizioni consiliari. Giovanni Rullo, consigliere del «Movimento Cinque Stelle», plaude all’iniziativa della magistratura: «Pochi mesi fa - sottolinea Rullo - avevamo proposto una commissione d’inchiesta sulla vicenda. Forse sarebbe stato opportuno accogliere quella richiesta. Preso atto che un’indagine non è una sentenza, e occorre quindi aspettare l’eventuale processo, dal nostro punto di vista è evidente che ci sono state delle illegittimità, e chi li ha fatte dovrà assumersene le responsabilità. Ora ci riserviamo di analizzare le carte e fare le nostre valutazioni politiche».

Cauto il collega Andrea Ravagni: «Sono un garantista per formazione - osserva - ritengo che gli inquirenti debbano fare il proprio lavoro, ma gli indagati non devono essere “crocifissi” prima ancora che vi sia una sentenza». «Dell’inchiesta non sapevo nulla - dice invece l’architetto Sergio Dellanna, assessore all’urbanistca ad Arco fino al 2005 - ma so bene che si tratta di una vicenda molto complessa. C’erano situazioni complicate che andavano risolte con lucidità e visione, elementi che però nella politica arcense non ci sono. Inutile ora piangersi addosso. Mi sono visto tirato in ballo più volte in passato, ma la norma sul ripristino filologico dell’edificio l’avevo voluta io. Avevo lavorato proprio per ridurre le cubature di quel progetto».

Poche parole dall’allora sindaco Renato Veronesi, presidente di quella commissione oggi sotto inchiesta ma in quella seduta assente: «Prima di commentare attendiamo la conclusione dell’iter processuale, anche perché si tratta di aspetti di natura puramente tecnica che vanno chiariti. Lasciamo la magistratura lavorare. Detto ciò, mi dispiace per quello che sta accadendo al vicesindaco Bresciani e ai dipendenti comunali coinvolti».

La notizia del sequestro di parte del complesso all’ex Argentina e dell’iscrizione nel registro degli indagati anche del vicesindaco Stefano Bresciani, suo collega di partito, raggiunge il presidente del consiglio comunale e candidato alla segreteria provinciale del Patt Mauro Ottobre> mentre si trova a Roma, impegnato nei lavori della Camera. «Quando opera la magistratura forse sarebbe meglio che la politica taccia - osserva Ottobre - Detto questo ho piena fiducia nel lavoro dei magistrati e a me, come a tutti i cittadini di Arco, credo interessi solo appurare la verità». Ottobre sedeva in quell’esecutivo guidato dal sindaco Renato Veronesi, almeno fino al 2008 quando venne eletto in consiglio provinciale: «Politicamente Stefano Bresciani non è in discussione e ha la nostra piena fiducia - incalza l’onorevole - Ci troveremo con lui e cercheremo di capire. Comunque osservo solo il presidente della commissione edilizia era il sindaco, all’epoca Veronesi, e che Bresciani si trovava lì solo per sostituirlo in quell’occasione. Come osservo però che prima che le pratiche arrivino sul tavolo degli amministratori sono state vagliate dei tecnici...».

Per Beppo Toffolon la cosa più indigesta sono quelle lettere, scritte dagli assessori Bresciani e Dellanna, che spiegavano alla Cosmi come procedere per «ovviare» ai dettami del Piano regolatore sul recupero del complesso ex Argentina. «Una cosa in assoluto tra le più azzardate; una cosa inammissibile» osserva il presidente di Italia nostra. «Siamo stati noi: è nostro - spiega Toffolon - uno dei vari esposti che è alla base di questa inchiesta. Non siamo sorpresi del sequestro: le violazioni sono talmente palesi che non c’è da stupirsi. C’erano prescrizioni chiarissime nel Piano regolatore di Arco che non sono state rispettate. E noto che la magistratura si concentra sulla concessione edilizia ma i problemi nascono prima, col piano di recupero: quell’albergo ottocentesco andava salvato, ripulito dai volumi appiccicaticci e recuperato con minore impatto, mentre all’ex Argentina è stato fatto tutto il contrario». 

Toffolon punta il dito: «Tra le cose in assoluto più azzardate è che a suggerire agli imprenditori-proprietari i modi come fare le opere sono stati gli assessori di Arco. È incredibile: ci sono le lettere alla Cosmi, mandate dagli assessori del tempo Sergio Dellanna e Stefano Bresciani (il 27 dicembre 2004 quella di Dellanna e 9 novembre 2005 quella di Bresciani ndr) nella quale entrambi anziché ribadire le linee di salvaguardia del manufatto del 1888, direttive indicate dal piano regolatore, suggeriscono tutti gli argomenti tecnici e anche legali coi quali procedere con la demolizione-ricostruzione ed eludere il piano di recupero: questo è assolutamente folle».

Il presidente di Italia nostra si rammarica poi per la mancanza di un respiro più ampio: «Dal punto di vista tecnico e giuridico, ok, l’inchiesta potrà andare avanti o meno, ma dallo “scempio Argentina” occorre imparare una lezione: certi comportamenti amministrativi sono inqualificabili. “Ti insegno io a dribblare le normative” è una condotta inconcepibile, e questo al di là dell’aspetto prettamente giudiziario». L’esposto alla magistratura prese il via dalla serata pubblica di Palazzo dei Panni quando il 22 novembre 2013 il gruppo Salvaguardia dell’olivaia sollevò il caso. «Quella sera - ricorda Toffolon - il sindaco Betta ci aveva sfidato: se c’erano gli estremi che facessimo pure un esposto. Ma a noi non interessa mandare in galera nessuno: ci preme invece interrompere un modo scellerato di fare urbanistica di cui l’ex Argentina è il monumento palpabile». Ed entrando nell’aspetto tecnico: «Sono interessato, forse più che ai volumi, al fatto che è stato modificato in modo brutale l’andamento del terreno con dei terrazzamenti enormi quando il Piano regolatore non lo permettevano, muri alti per poter costruire le case: inammissibile». 


LA STORIA

A fine Ottocento Giuseppe Lenninger, gestore del Caffè restaurant ville Emilie, chiese al comune di Arco di erigere nel suo «podere coltivato a ulivi, sopra la villa arciducale, un piccolo casino alla Svizzera», di «soli 2 locali uno sopra l’altro....». Intuita però la valenza del posto, nel 1888 il caffettiere ci piazzò un elegante albergo, Villa Olivenheim, la casa degli olivi. 

Dopo la prima guerra mondiale, col Trentino passato all’Italia, venne a mancare la clientela tedesca e l’immobile fu comperato dall’Opera nazionale invalidi che ne fece un sanatorio per i «tubercolotici di guerra» grazie soprattutto ai soldi degli emigranti in Argentina. Seguì il declino fino a una ventina d’anni fa, quando la Provincia di Trento vendette lo stabile ai nuovi proprietari, che nel 1996 chiesero all’allora sindaco Eugenio Mantovani una concessione edilizia. Venne negata per via dei volumi, giudicati eccessivi. Con il 2000 e il nuovo Piano regolatore anche per l’ex Argentina vengono introdotte delle prescrizioni precise: altezze, volumi, recupero rispettoso del contesto e della storia, per «l’alto valore paesaggistico derivante dalla posizione strategica e panoramica dell’area», ordinando un’impronta architettonica qualitativamente elevata, tale da richiamare «lo stile tardo ottocentesco».
La variante del 2003 introduce il piano di recupero e vengono «addolcite» anche le prescrizioni che, in ogni modo, tendono a contenere al massimo «l’impatto paesaggistico» e indicano di seguire il più possibile «le curve di livello del terreno naturale» mentre «l’altezza dei fabbricati dovrà conciliarsi con le esigenze di mitigare l’impatto visivo». Il complesso dovrà ricordare «l’immagine originaria».

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Il 27 dicembre 2004 e il 9 novembre 2005, prima l’assessore Sergio Dellanna, poi l’assessore Stefano Bresciani, inviano una lettera a Cosmi, l’impresa proprietaria, dei «consigli» su come procedere nell’iter. E in linea con le lettere il 19 dicembre 2005 la commissione edilizia approva il progetto preliminare di demolizione e ricostruzione, che compromette le speranze di un recupero filologico del vecchio hotel asburgico. E se il 20 febbraio 2009 comune e proprietà firmano una convenzione in cui si specifica che «l’impianto complessivo del piano di recupero va rispettato», il 21 maggio 2009 la commissione edilizia dà l’ok alla demolizione e il 31 giugno c’è la concessione a edificare un complesso residenziale.

I cittadini di Arco si accorgono del «mostro» che sta sorgendo a cantiere avviato. Il 22 novembre 2013 in un Palazzo dei panni stracolmo, con decine di persone rimaste chiuse fuori, il gruppo Salvaguardia dell’olivaia denuncia lo scempio paesaggistico.


«L’ecomostro sul lago di Garda e il miracolo dei sotterranei emersi». Titolava così il 28 febbraio 2014, con tanto di richiamo in prima pagina e seguito in quelle interne, il «Corriere della Sera» con la prestigiosa firma di Gianantonio Stella ad occuparsi di quello che già da tempo le associazioni ambientaliste e centinaia di cittadini arcensi definivano un vero e proprio «ecomostro». Siamo nelle settimane calde che precedono le elezioni comunali, dopo le dimissioni a sorpresa di Mattei e la reggenza pro tempore in mano all’attuale primo cittadino Alessandro Betta. L’attenzione di Stella, scrittore e autore di inchieste analoghe in tutta Italia, scatena il dibattito politico e accende i riflettori (in questo caso poco graditi perché «scomodi») sulla cittadina ai piedi del Castello.

«Scommettiamo - scriveva Stella nell’incipit della sua inchiesta - che se ripassasse oggi, Albrecht Dürer, non si fermerebbe più a dipingere incantato il fascinoso castello di Arco, sul lago di Garda. I ruderi del maniero, sia chiaro, hanno conservato il loro charme. Ai suoi piedi, però, dove ai tempi del grande pittore tedesco c’erano solo ulivi e un secolo fa sorgeva un delizioso albergo ottocentesco, è venuto su un ecomostro. Una gigantesca spalmata di cemento armato dalle curiose caratteristiche: i «sotterranei» emergono da terra come un muraglione. Direte: ma un sotterraneo non si chiama sotterraneo perché sta sotto la terra? Miracolo urbanistico: qui no». 

L’indignazione di uno dei giornalisti più conosciuti e apprezzati d’Italia arrivò comunque ben dopo le proteste locali e l’indignazione popolare per quello che stava accadendo e che era stato consentito in uno degli angoli più suggestivi di Arco. Pochi mesi prima, il 23 novembre, le associazioni ambientaliste e il Comitato Salvaguardia dell’Olivaia riempiono la sala di Palazzo Panni. Circa 400 persone vengono a sentire le ragioni e le dettagliate spiegazioni tecniche, procedure urbanistiche comprese, fornite da chi da anni si batte per fare luce su quello scempio. Il sindaco Alessandro Betta ci mette la faccia, l’ex primo cittadino Renato Veronesi (in carica fino al 2010) diserta la serata.

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