San Romedio: uno studio sulle fonti medievali

Christian Giacomozzi, giovane insegnante di Gardolo, è autore di due tesi di laurea sulle Vitae medievali di San Romedio, gli unici documenti sulla figura dell’eremita di nobili origini ritiratosi in eremitaggio in Val di Non. Alla prima (La Legenda sancti Romedii di Giangrisostomo Tovazzi e le sue fonti), ha fatto seguito la tesi di laurea magistrale (La Vita sancti Remedii (BHL 7145). Edizione critica e commento), cosicché lo studio complessivo del filologo mette in luce la «stratificazione» della figura del santo di Thaur attraverso i miracoli che ne accentuano la santità, l’episodio dell’orso non citato nella fonte più remota, i compagni con i quali condivise la sua vita di preghiere, veglie e digiuni: Abramo, di soprannome Deodato, e Davide,
Entrambe le tesi sono state premiate sia a Trento sia a Bolzano (dalla Soprintendenza della Provincia e dalla Biblioteca «Claudia Augusta»), e - in vista della pubblicazione della prima edizione critica delle cinque Vitae, corredate dalla traduzione e dall’analisi delle fonti bibliche e letterarie - Giacomozzi ha tenuto lunedì scorso una conferenza a Bolzano («La Legenda Sancti Romedii»), molto apprezzata, con il professor Paolo Gatti dell’Università di Trento.

Alle fonti narrative medievali, il giovane studioso aggiunge una nuova Vita romediana detta Redazione K, che «sopravvive in un codice unico databile alla metà del XIV secolo - ci spiega Giacomozzi - e nasce dalla fusione e dalla rielaborazione di due Vitae precedenti». È una quinta agiografia del santo, finora studiata dal punto di vista iconografico, che l’autore si accinge ora ad esaminare meglio (è conservata a Karlsruhe) e che si aggiunge a quelle note agli studiosi: «Fonti che risalgono con buona approssimazione ai secoli XIII e XIV - ha scritto Giacomozzi in Studi trentini - e che fondano la leggenda popolare di san Romedio, da ponderare dunque con attenzione all’atto di ricostruire con rigore e serietà la vicenda storica dell’eremita».

«Tutte queste agiografie sono anonime - ci spiega Giacomozzi - ad eccezione di quella di Bartolomeo da Trento, domenicano a San Lorenzo che scrive attorno alla metà del Duecento». In questo testo compare un solo miracolo, quello dell’operaio che, caduto dal tetto del santuario che era intento a riparare, finito nel torrente con la scure, rimane illeso.
E se nell’iconografia la figura di San Romedio è legata all’orso ammansito, l’episodio parrebbe nato a nord delle Alpi: «da dove provengono le altre quattro Vitae mediolatine, tutte anonime e databili a non oltre la metà del XIV secolo, che elaborano, in linea con i canoni dell’agiografia basso-medievale, racconti capaci di donare una nota di meraviglioso alla rapida biografia tracciata dal frate domenicano trentino», ha scritto Giacomozzi.

«L’episodio dell’orso addomesticato da Romedio non compare in origine nelle fonti - osserva - e viene introdotto probabilmente da agiografi tedeschi». Secondo alcuni testi lo avrebbe cavalcato scendendo a Trento, per altri lo avrebbe caricato dei bagagli camminandogli al fianco. «E questa interpretazione - spiega il filologo - richiama la leggenda di Corbiniano di Frisinga che, in viaggio verso Roma, fu assalito da un orso che gli mangiò il mulo sul quale aveva caricato i bagagli». Molti miracoli compaiono nei testi, come le guarigioni di infermi e indemoniati sulla via per Trento. «Nella più lunga delle Vitae, databile attorno al XIII secolo - aggiunge lo studioso - compare il miracolo degli uccelli che, di notte, spostano il cantiere del santuario da una montagna all’altra. Ed è interessante notare come, riferendosi all’orso, Romedio abbia detto: «A me sottoposto, ma ti nutrirai del tuo cibo e della tua acqua».

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