Val di Non, due biodigestori

Non sarà una sola, ma due le strutture in cui le deiezioni bovine dell’alta valle di Non saranno trattate per produrre fertilizzanti ed energia rinnovabile. Di impianti a «digestione anaerobica» di letami e liquami si parla da anni; ora giunge il momento per verificare e discutere un progetto più evoluto e definito, che potrebbe dare risposte concrete alle grandi quantità di «materiale» prodotte nelle stalle dell’alta valle. E c’è una novità: negli impianti in parola potrebbe essere prodotto anche «biocarburante» per trattori agricoli.


«Con gli allevatori abbiamo già dialogato, in passato, ora è il momento di discutere un progetto più avanzato di quello di massima già noto, e soprattutto di giungere alla definizione di un modello di gestione del sistema», afferma Stefano Endrizzi, sindaco di Ronzone, che da poco è diventato comune capofila di questo progetto. Tutto nasce dal «Piano di azione per l’efficienza energetica: illuminazione (Pric), mobilità e comfort sostenibili per i comuni dell’Alta Val di Non», avviato da qualche anno dai comuni di Amblar, Cavareno, Dambel, Fondo, Malosco, Romeno, Ronzone, Ruffrè-Mendola, Sarnonico e Don.


Di lì aveva preso avvio lo «Studio di fattibilità tecnico economica e diagnosi energetiche relative a produzione, recupero, trasporto e distribuzione di calore derivante dalla cogenerazione o dall’utilizzo delle fonti rinnovabili», e solo successivamente l’attenzione dei comuni si era rivolta in altra direzione, prevendendo di realizzare «un ciclo integrato volto ad un uso razionale e sostenibile degli effluenti zootecnici in Alta Val di Non, con contestuale produzione di energia rinnovabile e fertilizzanti». Nel percorso per giungere a delle conclusioni sono stati coinvolti l’Istituto di San Michele, la Comunità di valle, nonché l’Eurac di Bolzano («European academy») e soprattutto l’altra realtà bolzanina Tis («Techno innovation park South Tyrol), che opera in vari campi, anche in quello delle energie rinnovabili.


«Di materia prima ne abbiamo a disposizione in grande quantità», commenta Stefano Endrizzi. «Tanto che in un primo momento, su proposta di San Michele, era previsto una sola struttura, che avrebbe dovuto sorgere tra Romeno e Cavareno, ma si è successivamente pensato a due impianti, aggiungendone un altro più a monte, per evitare strutture troppo impattanti. L’importante è studiare un modello di gestione, e soprattutto che al tavolo vi sia il mondo della zootecnia, senza il quale il progetto non ha significato». La strada da seguire è già tracciata: in Piemonte esistono simili impianti di riuso del letame, e funzionano: «L’Eurac ha già portato a termine lo studio di massima, ora bisogna affinare il discorso economico e la sostenibilità, anche alla luce delle nuove tecnologie, che negli ultimi tre anni si sono evolute. Nei due insediamenti si provvederà ad abbassare il tasso di ammoniaca delle deiezioni e di lì si ricaverà energia, mentre i fanghi residui possono diventare, abbassando la quantità di azoto, ottimi fertilizzanti utilizzabili dal mondo agricolo. Ma non solo - continua Endrizzi -: si sta pensando anche alla produzione di biocarburante, con trattori che potrebbero sfruttarlo, una possibilità ora al vaglio dei tecnici, e che sembra più che realizzabile».


A breve, nel corso dell’estate, progetti e proposte saranno definiti ed illustrati. Previsto anche il coinvolgimento di Melinda, soprattutto per il possibile utilizzo del fertilizzante.

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