Romeno, scampati alla morte in Nepal

Sono scampati alla morte per un soffio. Si trovavano su un’auto che li trasportava da Pokhara, deliziosa città nepalese, per rientrare nella capitale Kathmandu, quando nel Paese asiatico si è scatenato l’inferno. Davanti alla macchina la montagna è crollata; l’autista ha tentato di retrocedere, ma anche dietro dalla scarpata sovrastante si staccava di tutto. Con un’abile manovra l’autista nepalese è riuscito a fare slalom tra massi e detriti, portando la famiglia in salvo, in un paese vicino. Poi è sceso dalla macchina, e si è messo a piangere, sconvolto, fumando una sigaretta. La famiglia gli ha dato tutto il denaro contante che aveva con sè...


Una famiglia nonesa, che non era in Nepal per turismo. Una vacanza sì, ma che trae origini lontane e molto significative. Oltre vent’anni fa Michael Sikkens, origini olandesi ma ormai naturalizzato noneso, e Donatella Abram, dopo una decina d’anni di matrimonio, decidono di adottare un bambino. Sono in amicizia con una famiglia dell’alta valle che già aveva compiuto tale passo; e decidono, attraverso una associazione altoatesina, di adottare un bambino nepalese, un Paese dove i bimbi non vengono «venduti» come succede altrove, ma affidati ad una famiglia. Così, 21 anni fa, Michael e Donatella si recano in Nepal, per prendere contatto diretto con la realtà locale; e mentre procedono le pratiche dell’affido, visitando un paesino del distretto di Kavre (area ad alto rischio malaria) si imbattono in un fagottino; Michael pensa si tratti di un cane abbandonato, ma la sorpresa è grande, quando dentro quel fagotto trovano una bimba di un paio d’anni, ammalatissima; le sole «note» sono dei certificati di vaccinazioni eseguite (ci pensava l’Unesco) ed un nome, «Renu». Quando Michael raccoglie il fagotto, viene ammaliato dal sorriso che quella bimba gli rivolge. Amore a prima vista. Con l’avvocato già all’opera per l’adozione, vengono svolte le ricerche del caso (necessario determinare l’abbandono), e si giunge a conclusione: quella bimba abbandonata può essere adottata.


Diventa così Alice «Renu» Sikkens, e da allora vive in alta val di Non, a Salter, dove la famiglia risiede. Oggi ha 23 anni; è laureata in psicologia, lavora a Bologna nel campo della salute mentale. Il regalo di laurea, per lei, è stato un viaggio nel suo paese d’origine, cui Michael e Donatella pensavano da anni. Ed il momento arriva. «Siamo partiti il 15 aprile», testimonia Michael. «Un viaggio atteso da tempo, da anni, ed ora c’era l’opportunità di farlo, tutti assieme, chissà se vi sarebbe stata un’altra occasione, per affrontarlo». Dopo tanta attesa, il Nepal si apre, con le sue bellezze ambientali, la sua simpatia, la sua povertà, il grande senso dell’accoglienza della gente. Ed ecco il sisma, che ha causato migliaia di vittime. «I numeri forniti non sono esaustivi», spiega Michael. «Ci sono decine di villaggi irraggiungibili, dove non sono ancora giunti i soccorsi, C’è gente che dorme al gelo, senza cibo. Lì i morti li bruciano: non c’è neanche più legna per questo rito».


Con difficoltà i tre membri della famiglia Sikkens rientrano a Kathmandu; caso vuole che dopo soli 2-3 giorni di attesa, tra migliaia di persone in attesa di imbarco, siano tra i pochi a partire, dato che la compagnia aerea da loro scelta è stata la prima a far decollare un aereo, da Kathmandu. Durante l’attesa, ecco un’altra scossa, terribile, mentre i tre si trovano in centro storico, con case che si sgretolano, altri crolli, altre morti. «I nepalesi compostissimi, gli unici ad urlare erano i turisti occidentali», commenta Michael. Che, in accordo con moglie e figlia, non vuole fornire fotografie del loro viaggio, né di loro. «Dopo il sisma di foto non ne abbiamo scattate, non si può fotografare una tragedia che colpisce un intero popolo. E non cerchiamo pubblicità per noi. Siamo stati fortunati, mentre quel popolo ha bisogno di aiuto. Se abbiamo narrato questa storia è solo per dare una mano, attraverso l’associazione di cui siamo parte, che da anni opera in Nepal, per adozioni, ma anche per aiutare la gente del posto, ad esempio realizzando degli orfanatrofi. Che sono sempre pieni», conclude Michael Sikkens. «Ora le stime parlano di qualcosa come 400-600 mila nuovi orfani, in Nepal. Numeri incredibili. Quei ragazzini bisogna aiutarli; e non servono vestiti usati, ma cibo e medicine».

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