«Non sono un ladro,  ma ero disperato»

Chiede scusa a tutti, soprattutto al personale della farmacia di Trento che ha rapinato. Andrea Scrinzi, condannato per direttissima a 2 anni e 4 mesi per «rapina a mano armata», spiega quel momento di follia: non sono un ladro, dice oggi, dopo la condanna, ma ero disperato, con tre bambini piccoli

di Beppe Bonura

scrinziCUNEVO - «Innanzitutto vorrei chiedere scusa al personale della farmacia e a chi si trovava al suo interno al momento della rapina. Mi impegnerò al massimo per pagare la somma che il giudice ha assegnato loro a titolo di risarcimento». Con queste parole inizia il racconto di Andrea Scrinzi , 43 anni, condannato per direttissima a 2 anni e 4 mesi per «rapina a mano armata». Attualmente Scrinzi sta scontando i primi 6 mesi agli arresti domiciliari, perché se quella del 7 maggio scorso è tecnicamente una rapina, tutti - anche i derubati - hanno capito, dopo momenti di comprensibile paura, che quell'uomo con un coltello da cucina non era certo un professionista del crimine, ma un disperato messo alle corde da una vita difficile, schiacciato da una crisi economica che non ha pietà di nessuno, tantomeno dei più deboli. Il suo legale, l'avvocato Claudio Tasin, conta che la pena a Scrinzi verrà ridotta di quel tanto necessario a fargli usufruire della condizionale. I Servizi sociali lo seguono. La speranza si riaccende.
«Avevo una piccola attività di imbianchino ed ero iscritto all'Unione commercio e artigianato - racconta Andrea Scrinzi - ma ben presto mi sono accorto che non avevo più nemmeno un margine minimo di guadagno, ma che anzi ero sotto di 3.500 euro. E così nel gennaio 2012 ho chiuso l'attività».
Come ha fatto a tirare avanti?
«Ho tre bambini ancora piccoli e quindi ho cercato dei lavoretti occasionali, ma con la crisi era sempre più difficile trovarli. Allora ho iniziato a deprimermi: vedevo tutto nero, avevo perso ogni speranza. A gennaio ho avuto anche un incidente in bici e alla depressione si sono aggiunti i malanni fisici. A fine febbraio sono svenuto mentre ero in giardino con i miei figli. Stavo male anche perché avevo abbandonato di colpo la terapia che mi aveva prescritto il medico, semplicemente perché non avevo neppure i soldi per comprarmi le medicine...».
Ma l'odissea di Andrea non è ancora finita, perché il 24 febbraio, mentre sta andando in farmacia sbanda, a causa della nevicata in corso, e finisce contro un muretto.
«Per fortuna non è rimasto coinvolto nessuno, ma la macchina è distrutta e devo pagare 200 euro al carro attrezzi. Mi portano in ospedale e qui scoprono che ho lesioni interne e devono asportare la milza. Sono vivo per miracolo! Dopo due settimane torno a casa: convalescente e abbattuto non riesco a fare niente. Posso solo contare sulla mia compagna che lavora e mi è sempre vicina e, naturalmente, sull'affetto suo e dei miei figli. È la famiglia che mi dà la forza di andare avanti».
Ad aprile arriva l'occasione di «Azione 19», un lavoro sociale di 4 ore al giorno.
«I soldi non sono molti, ma - mi dico - per iniziare va bene. Vado avanti per due settimane: mi occupo di giardinaggio, pulizia delle strade, cose così...».
Ma Andrea torna ad abbattersi quando scopre di avere solo 20 euro in tasca e di non essere in grado di offrire alla sua bambina una dignitosa festa per l'imminente prima comunione.
«Arriviamo così a quel maledetto giorno, il 7 maggio. Devo andare a Trento per una visita neurologica e invece mi alzo con una cupa disperazione addosso. Ho bisogno di soldi, sono stanco, disperato. Arrivo davanti alla farmacia. Mi fermo un attimo e mi domando: ma cosa sto facendo? Mentre ancora penso mi accorgo di essere già dentro. Poi il coltello, i soldi arraffati dalla cassa che mi cadono per terra. Sembra un sogno, anzi no, un incubo. Prima di scappare chiedo scusa. Mi fa male una gamba e in breve la polizia mi ferma. Solo a quel punto mi rendo conto che, agli occhi della gente, sono passato da padre a delinquente. Ma io non sono così: aiutatemi a dimostrarlo».

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