Laurita, volontaria nelle celle messicane

di Giuliano Beltrami

Conoscete un Angelo degli ultimi? A Preore ne hanno uno. È Laura Scalfi (Laurita per i suoi ultimi degli ultimi, come li avrebbe definiti Madre Teresa di Calcutta) che presta servizio di volontariato in un carcere. Non italiano. Eh no, ragazzi, Troppo facile: messicano.

E uno si chiede: perché proprio là? La data d’inizio è lontana, ma il percorso è semplice. 2003: Laura parte con un’amica, zaino in spalla, per girare il Messico. Programma: rimaniamo tre mesi, perché poi non torneremo più. Per farla breve ci resta un anno e mezzo. «Il popolo messicano è tanto accogliente; abbiamo conosciuto moltissime persone». Ride con l’aria sbarazzina della ragazzina. Vestiti sgargianti e capelli rasta. Diresti che è un po’ fricchettona. E probabilmente lo pensarono anche le autorità carcerarie quando la videro per la prima volta. Ma andiamo avanti per tappe.
Fra i tanti amici del soggiorno «zaino in spalla» messicano c’è Lalo, con il quale Laura si tiene in contatto al suo rientro in Italia.
«Ci eravamo detti che nel 2006 avremmo fatto un pellegrinaggio in Portogallo, insieme ad un’amica belga e ad altri amici». Già, perché parrebbe fricchettona, ma è retta da una incrollabile spiritualità, e lo senti dalla sua serenità.

Senonché riceve una telefonata: «Lalo è stato arrestato. È in carcere».
Il pellegrinaggio non salta, come non salta il lavoro (provvisorio) all’Anffas: Laurita è educatrice professionale. Prese le ferie, all’inizio del 2008 vola in Messico per trovare Lalo. «E lì è cambiata la mia vita, perché non ho saputo rimanere indifferente alla realtà di un carcere. Tornando in aereo, ho pianto tutto il viaggio. Ho finito il lavoro all’Anffas e nel gennaio 2009 ho detto: vado a trovare Lalo, a fargli sentire un po’ di calore umano. I primi mesi andavo a trovare l’amico. Così è nato l’amore per il carcere».

Un carcere, in Messico...«C’è il male ma c’è anche il bene», sorride Laurita. «La città in cui vivo (Cuatacualcos, Stato di Vera Cruz, porto sul golfo del Messico) è violentissima. Una sera ero in casa e ho sentito una sparatoria: hanno ucciso due persone. Assassini e sequestri sono all’ordine del giorno. Chi può se n’è andato: ha messo il cartello vendesi sulla porta ed è scappato. Ma ci sono persone accoglienti».
Laura segue le peregrinazioni di Lalo, trasferito in carceri speciali, finché viene liberato e se ne va in giro per il mondo. «Ma io avevo capito fin dal 2009 che il mio posto era lì, quindi non mi sono più mossa: sono concentrata in quel carcere». Che si chiama (quando si dice l’ironia delle parole) Cereso, Centro di reinserimento sociale. «Avevo cominciato dando lezioni di yoga alle carcerate. La criminologa mi chiese di continuare, ma io non me la sentivo, perché non ero preparata. Ha insistito, perciò sono andata avanti. Nel frattempo mi sono agganciata al servizio di psichiatria, quindi ho iniziato ad occuparmi degli anziani del carcere, delle donne coi bambini».

Sono 1.900 i detenuti, di cui 100 donne. C’è di tutto: da chi ha rubato un cellulare al trafficante di armi, dal piccolo spacciatore al narcotrafficante, dall’omicida al sequestratore di persona. «Grazie al Cielo mi danno la possibilità di entrare tutti i giorni. Do lezioni di italiano, faccio assistenza agli ammalati, seguo le donne in gravidanza e quelle che hanno bambini».
Accettata? «Più dai detenuti che dalle guardie penitenziarie. Non capiscono perché una donna, che evidentemente non ha altro da fare, venga a perdere tempo in carcere. Fuori ho trovato gente che ha fiducia, che mi dà qualche vestito, giocattoli per i bambini».
I bambini: le vere vittime? «Purtroppo sì. Promiscuità, prostituzione, violenza, solitudine... Ne vedono troppe in un carcere».
Cosa spinge una persona a spendersi totalmente e gratuitamente per gli altri? «Non mi considero una religiosa, ma intrattengo una conversazione continua con Dio. Mi reggono una forza spirituale, insieme all’amore ed alla fiducia nell’essere umano: ho fiducia in un suo cambiamento. Avrà fatto delitti crudeli, ma una parte buona c’è. Se un sorriso migliora la giornata di una persona privata della libertà sono felice. E poi si deve lavorare sulla comunità, perché chi esce dal carcere va accolto, non respinto».

Ma come sostiene i costi? «Ho creato un’associazione civile, per dare un aspetto giuridico al mio essere lì. Si chiama Satia Seva che in sanscrito significa verità e servizio. Finora le donazioni vengono dall’Italia».
Diffidenze? «Ma sì, c’è chi mi dice: Ma perché vai in Messico? Di carceri ce ne sono anche qua. E poi perché aiuti chi ha ucciso, rubato e sequestrato? Guarda i bambini, gli anziani, gli ammalati!. A parte che in carcere c’è di tutto, i carcerati sono proprio gli ultimi degli ultimi, quando entrano e quando escono, abbandonati a livello sociale».
Un ritorno? «Non escludo di tornare, un giorno o l’altro, ma intanto il mio servizio è lì e voglio andare avanti lì finché la Santa Provvidenza mi aiuterà».
Lo racconterà martedì prossimo ai paesani che vogliono ascoltarla: appuntamento a Casa Mondrone di Preore, alle 20,30.

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