Troppi cinghiali, vanno abbattuti

Sono ben 452 i cinghiali abbattuti nel 2012 - il doppio rispetto all'anno precedente - dal Servizio faunistico della provincia di Brescia in collaborazione con le Associazioni cacciatori dei territori dell'Alto Garda lombardo confinanti con la valle di Ledro e il Trentino sudoccidentale. Diciannove sono invece quelli soppressi tra luglio e dicembre sui monti ledrensi, interessati ormai da un processo di migrazione senza sosta e senza precedenti

di Paola Malcotti

Sono ben 452 i cinghiali abbattuti nel 2012 - il doppio rispetto all'anno precedente - dal Servizio faunistico della provincia di Brescia in collaborazione con le Associazioni cacciatori dei territori dell'Alto Garda lombardo confinanti con la valle di Ledro e il Trentino sudoccidentale. Diciannove sono invece quelli soppressi tra luglio e dicembre sui monti ledrensi, interessati ormai da un processo di migrazione senza sosta e senza precedenti.
Bastano i soli numeri degli abbattimenti effettuati nel bresciano per rendere l'idea delle dimensioni del fenomeno, in continua crescita, che si riflette in maniera distruttiva sui territori limitrofi.
Come la valle di Ledro appunto, dove l'estate scorsa i cinghiali hanno arrecato molti danni ai terreni di alcune malghe a Tremalzo, Giù, Vil e passo Nota, mettendo in difficoltà l'attività della monticazione dei bovini e quindi l'economia legata all'allevamento e alla lavorazione dei prodotti di malga.
«Ecco perché è stato approvato un documento relativo alla gestione dei cinghiali - spiega Ruggero Giovannini, direttore dell'Ufficio faunistico della Provincia - e la valle di Ledro è stata inserita tra le principali aree interessate: lo scopo è quello di mettere in atto strategie di controllo e, in collaborazione con i cacciatori ledrensi che hanno sostenuto e superato un esame specifico, contrastare la proliferazione dei suidi».
Il 2013 si appresta quindi ad essere un anno impegnativo dal punto di vista della circoscrizione del fenomeno, volto a evitare ulteriori danni ai pascoli di montagna già tristemente flagellati. Il problema più grosso legato alla presenza di questa specie è infatti il danno che arreca ai prati in quota: scavando con il grugno alla ricerca di cibo, in una sola notte un gruppo di cinghiali riesce a rovinare anche qualche centinaio di metri quadrati di pascolo.
Rendendolo simile ad un groviera. Si tratta invero di animali dalle abitudini crepuscolari e notturne: durante il giorno i cinghiali riposano in buche nel terreno che essi stessi scavano tra i cespugli e per questo risulta difficile riuscire ad avvistarli.
«Sono onnivori - continua Giovannini - e durante la bella stagione si cibano di vegetali, ossia ghiande, frutti, bacche, tuberi, radici e funghi: è per questo motivo che raspano in continuità il terreno, devastandolo. Durante l'inverno la loro disastrosa attività si riduce a causa della presenza del manto nevoso ma, se ne trovano, si cibano anche di carcasse di altri animali già morti.
Sono bestie molto prolifiche e il loro tasso di riproduzione è tra i più elevati nei mammiferi: le femmine adulte sono in grado di partorire 6-7 piccoli al colpo, anche due volte l'anno». Ecco perché la popolazione di questi suidi è aumentata così rapidamente nel giro di pochi anni e in modo tale da rappresentare oggi una delle più diffuse sui monti ledrensi confinanti con il bresciano
Il rischio ora è che il cinghiale diventi un animale costantemente presente non solo in quota - dove i danni potrebbero interessare presto anche le specie floreali rare della conca di Tremalzo - ma anche nel fondovalle, dove potrebbe spostarsi in cerca di cibo.

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