Re Francesco Moser e i 30 anni dal record

Una linea lunga 51 chilometri e 151 metri a fare da confine fra due ere dello sport. Il 1984 un anno zero, con Francesco Moser nel ruolo di Cristo (sembra grossa, ma non è una bestemmia), a separare ciò che lo sport è stato prima di lui e ciò che è diventato dopo

di Pietro Gottardi

nuova_cartella_5sf0000000001mxfPALU' DI GIOVO - Una linea lunga 51 chilometri e 151 metri a fare da confine fra due ere dello sport. Il 1984 un anno zero, con Francesco Moser nel ruolo di Cristo (sembra grossa, ma non è una bestemmia), a separare ciò che lo sport è stato prima di lui e ciò che è diventato dopo. L'essenza del record dell'ora migliorato 30 anni fa a Città del Messico dal fuoriclasse di Palù di Giovo, rimane questa, non fosse altro perché quel 51,151 per l'Unione ciclistica internazionale non esiste più. Come non esistono più le prestazioni migliorative che seguirono, in sella a veicoli a pedali e a due ruote, che tentativo dopo tentativo sfiguravano sempre di più le geometrie classiche della bicicletta in una rincorsa senza troppe regole al record che negli anni del doping «duro», quello degli anni ‘90 non ha risparmiato neppure la macchina uomo, talvolta con risultati aberranti.

 

Ed è al netto delle aberrazioni che seguirono (Moser ai tempi pedalò nel rispetto dei regolamenti) e di cui purtroppo ancora oggi lo sport paga pegno, che va giudicato il 51,151 di Francesco Moser. Ciò che fece il campione trentino per arrivare a cancellare Eddy Merckx fu un autentico salto nel vuoto, una sorta di primo passo dell'uomo sulla Luna.  Obiettivamente va detto che non aveva più molto da perdere: a 33 anni e con alle spalle una carriera fantastica, sembrava aver imboccato il viale del tramonto. Col record del 1984, però, il ciclismo era cambiato. La carriera di Francesco ebbe un nuovo picco tanto è vero che in quello stesso anno il campione trentino coronò altri due sogni che parevano ormai irraggiungibili: la Sanremo e il Giro d'Italia. 
 
Coraggio e voglia di vincere assolutamente fuori dal normale (non si arriva soli a braccia alzate nel velodromo di Roubaix se non si è così, figuriamoci tre volte di fila...) abbinati ad una curiosità un po' agreste e allo stesso tempo acuta lo spinsero verso tutta una serie di novità che fino ad allora erano rimaste ai margini dello sport, per cercare di migliorarsi. In questo Francesco Moser fu senza tema di smentita un antesignano: fu lui il primo atleta di altissimo livello, conosciuto in Italia e nel mondo, ad aprire idealmente le porte dello sport alla scienza, fino ad allora confinata all'atletica leggera.
Ci entrò un po' di tutto: professor Conconi, dottor Ferrari, professor Arcelli, dottor Aldo Sassi, Equipe Enervit, professor Dal Monte. Fu l'anno zero del ciclismo e dello sport. Non tutto ebbe poi un'evoluzione virtuosa: l'autoemotrasfusione teorizzata dal professor Conconi che Moser ha dichiarato di non aver praticato, ai tempi non era comunque considerata doping. Come la teoria della relatività di Einstein utilizzata in seguito per realizzare la bomba atomica, nessuno tuttavia può nascondersi che pur muovendosi (ai tempi) nel campo della legittimità, l'intuizione del professor Conconi proposta a Moser di arricchire il sangue di globuli rossi per migliorare la performance aerobica, prese poi una piega perniciosissima, modificando nel dna (e non certo migliorandoli) tutti gli sport di fatica «avvelenati» da epo, ematocriti marmellatosi e sacche di sangue.
 
Ma il 51,151 di Città del Messico fu spartiacque fra l'ante e il post Moser per tanti altri aspetti decisamente meno controversi, fino ad allora trascurati. Con lui anche l'allenamento della «macchina uomo» subì cambiamenti epocali nel verso di una migliore efficienza. Anche in questo caso gli furono proposti (in particolare dal professor Arcelli e da un giovanissimo Aldo Sassi) e il campionissimo li sdoganò. Si iniziò a parlare di soglia anaerobica, di test Conconi, di acido lattico, di controlli del lattato. Moser fu il primo fuoriclasse certificato ad utilizzare il bisnonno degli attuali cardiofrequenzimetri, un parallelepipedo di una decina di centimetri di lunghezza, assicurato al polso col nastro adesivo.
 
Allenamenti al medio, soglia, salite forza resistenza: oggi anche gli amatori che praticano ciclismo o a qualsiasi sport aerobico (corsa, sci di fondo, nuoto) sanno di cosa si parla. E questa è una delle ottime eredità lasciate dal 51,151 di Francesco. Come del resto l'attenzione all'alimentazione, raffinatasi in modo clamoroso in uno sport come il ciclismo piuttosto arretrato da questo punto di vista, grazie all'appoggio avuto da Moser dall'Equipe Enervit. 
 
Ultimo ma non ultimo retaggio positivo del record messicano di Moser, l'impulso dato alla ricerca delle migliorie tecniche su bicicletta e componenti, che facendo pulizia delle esagerazioni che seguirono (dal ruotone alle bici-trespolo proposte da Obree) hanno aperto la strada a ruote lenticolari (ideate dal professor Dal Monte), manubri e caschi specifici per le gare contro il tempo che ancora oggi fanno la differenza ed idealmente - assieme alle metodiche di alleamento che abbiamo citato sopra - riportano il marchio «Francesco Moser - 51.151».
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