Istituzioni / Il nodo

Consulta per la salute preoccupata, appello ai candidati: «Sistema sanitario trentino in grave affanno»

A due giorni dalle elezioni, l'organismo ha presentato un ampio documento, con analisi e proposte di soluzione, inviato a a tutti gli aspiranti presidente della Provincia. Renzo Dori: «In questi anni siamo stati consultati raramente»

di Matteo Lunelli

TRENTO. Renzo Dori, presidente della Consulta provinciale per la salute, è sempre pacato nei toni. Riflessivo e gentile, soppesa le parole. Ma è preoccupato. Evidentemente preoccupato. Dalle sue parole emerge la delusione per il recente passato («Siamo stati consultati molto raramente, la scarsa attenzione nei nostri confronti è un dato di fatto»), ma soprattutto si evince l'ansia per il futuro: «Il sistema sanitario è in affanno, il personale si sobbarca un carico enorme, e la situazione è critica. Bisogna riprogettare e ci vuole il coraggio di farlo. Servono investimenti in salute».

L'altroieri la Consulta ha presentato un ampio documento, ripercorrendo l'attività fatta negli ultimi cinque anni, riportando le richieste, ripercorrendo le tappe, analizzando le criticità, proponendo soluzioni e dando spazio ai contributi della singole associazioni. Un documento che è stato inviato a tutti i candidati presidente in vista del voto di domani, domenica: «Vogliamo dire a tutti i candidati e a tutte le liste che siamo in emergenza, che lo sguardo va proiettato verso il futuro e che la salute deve essere l'elemento centrale dell'azione politica. Vogliamo dare un segnale forte e dire a gran voce che serve un confronto serio. Non basta qualche rattoppo: è passata la logica di tamponare le situazioni, invece ci vuole visione. Cittadini e operatori vanno coinvolti, altrimenti non ce la faremo».

Ad ascoltare Dori c'erano molti rappresentanti delle associazioni che fanno parte della Consulta e molti politici. In cinque, poi, hanno dibattuto per quasi due ore sui tanti spunti offerti da Dori: c'erano i candidati presidente Francesco Valduga, Alex Marini e Elena Dardo, e poi Claudio Eccher (in rappresentanza di Sergio Divina) e Roberto Cappelletti (per Marco Rizzo). In sala, tra gli altri, c'erano anche Paolo Zanella, Elisa Viliotti, Francesca Parolari, Claudia Merighi, Pierluigi La Spada e Stefano Bosetti (tutti del Pd), Eleonora Angeli (lista Fugatti) e Marina Mattarei (La Civica).

Tanti, tantissimi gli spunti che sono emersi. Ma, a proposito delle preoccupazioni espresse da Renzo Dori, uno agita più degli altri: la demotivazione del personale sanitario. Ne hanno parlato a più riprese i rappresentanti politici, ma a inquietare è stato soprattutto quanto riportato da una rappresentante - medico - delle associazioni (quindi si tratta di frasi senza "fini" elettorali): «Quando torno al Santa Chiara a salutare, i colleghi mi accolgono con un "Benvenuta all'inferno" e mi riferiscono di non essere ascoltati e di essere diventati "carne da macello"».

E su questo aspetto anche i politici hanno confermato: «La demotivazione è imbarazzante: non solo medici, ma anche coordinatori, infermieri e le varie figure. Mi dicono "Noi abbiamo sempre difeso l'Apss, siamo aziendalisti, ma ora non ce la facciamo più"», ha detto, dal "versante politico" Francesco Valduga.

Tornando a Dori e alla Consulta, le richieste sono state riassunte in "sette p". Si parte dal Pubblico, settore che deve essere difeso e rilanciato: l'Italia investe in sanità il 6,8% del Pil, solamente al quattordicesimo posto in Europa. Poi ci sono la partecipazione (la Consulta lamenta di essere stata costretta ad apprendere dalla stampa le notizie e le novità riguardanti la sanità) e la prevenzione. Ancora: personalizzazione (presa in carico globale della persona e "One health), predittività (no alla medicina difensiva) e Pnrr. Infine, ma non certo meno importante, il personale: contratto, turni meno stressanti, no ai gettonisti.

Ancora Dori: «La salute e di conseguenza la sanità devono diventare la priorità assoluta. Il governo ha stanziato 3 miliardi: bene, ma quasi due e mezzo vanno per i contratti e quindi restano solo 500 milioni. Così il privato andrà a riproporsi come elemento sostitutivo della sanità pubblica e questo andrà a creare sempre maggiori disequità. Il sistema trentino va riformato. E qui abbiamo una carta in più da giocare: abbiamo l'autonomia. E quindi non ci sono scuse. Dobbiamo riportare il Trentino a essere una realtà attrattiva e un esempio per il resto del Paese».

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