Sanità / Personaggi

Se ne va in pensione dopo 43 anni di lavoro il dottor Giovanni de Pretis, il “papà” di gastroenterologia a Trento

"Sono orgoglioso di molte cose fatte qui, come il programma di screening per il cancro al colon retto avviato nel 2008 con modalità che molti hanno poi copiato"

IL PUNTO La gastroenterologia trentina è all’avanguardia
RICERCA Tumori, al Santa Chiara il nuovo acceleratore lineare 
POLMONI Un'arma in più contro il tumore al polmone

di Patrizia Todesco

TRENTO. Dopo oltre 40 anni di lavoro, 22 dei quali trascorsi alla guida del reparto di gastroenterologia da lui “creato” a Trento, è andato in pensione il dottor Giovanni de Pretis. Sicuramente una grande perdita per la sanità pubblica trentina, ma lui ci tiene subito a precisare che lascia un reparto in ottime condizioni, con professionisti preparati e motivati. «Se andando via io le cose non funzionassero allo stesso modo vorrebbe dire che non ho fatto un buon lavoro».

Dal 4 marzo, direttore facente funzioni, è stato nominato il dottor Franco Armelao.

Dottor de Pretis, lei è arrivato qui nel 2001 e ha creato da zero il reparto. Come funzionava prima?

Gli esami endoscopici erano legati ai vari reparti, a Rovereto il collegamento era la geriatria, a Trento la medicina. Quando hanno bandito il concorso per la sede di Trento e Rovereto mi è sembrata una cosa innovativa. Io ero primario a Udine e ho partecipato ponendo solo la condizioni che ci sarebbero stati dei posti letto.

Però all’epoca i numeri erano più bassi?

Siamo partito con 4 medici e oggi sono venti.

Suo padre era Commissario del Governo. Da dove nasce la passione per la medicina?

A dire il vero storicamente la mia è una famiglia di medici fin dal 1600, tranne mio padre. Io però non ho conosciuto i miei antenati. Ricordo che ero indeciso tra studiare fisica e medicina. Mi ero un po’ informato e mi avevano detto che facendo fisica probabilmente sarei andato a insegnare in qualche scuola. Non era la mia strada e così ho optato per medicina. Mi sono iscritto a Bologna e lì ho incontrato il professor Dobrilla che mi ha fatto appassionare alla gastroenterologia e poi mi ha proposto di andare a Bolzano dove era primario. Nel 1996 sono diventato primario a Udine e poi a Trento, quando direttore generale era Favaretti.

Si è mai pentito di essere venuto a Trento?

Assolutamente no. Devo dire che da subito ho visto un livello di dirigenza decisamente superiore rispetto a Bolzano e Udine.

Lei avrebbe potuto andare in pensione prima dell’era Covid. Poi nel dicembre 2020 un provvedimento ha permesso di continuare a lavorare anche a chi aveva più di 40 anni di servizio. Lei decise di rimanere e poi scoppiò la pandemia. Sono stati forse gli anni più faticosi di tutta la sua carriera immagino.

Soprattutto nella prima parte è stato molto pesante perché c’erano tante incertezze, ma si respirava comunque un clima di grande impegno e collaborazione trasversale. Molti miei collaboratori avevano dato la disponibilità ad andare a lavorare in altri reparti. Forse le fasi più faticose sono state quelle successiva, la seconda e terza ondata, perché si era tutti già molto provati. Poi c’era la difficoltà a gestire i pazienti. Dal punto di vista chirurgico non potevamo garantire loro le cure di cui avrebbero avuto bisogno.

Di quale progetto legato alla gastroenterologia va più orgoglioso?

Direi del programma di screening per il cancro al colon retto avviato nel 2008 con modalità che molti hanno poi copiato. Abbiamo ottimi indicatori di qualità, con un’adesione alla colonscopia che è sempre stata più alta d’Italia, mentre non si è riusciti ad aumentare l’adesione generale allo screening che non supera il 60%. Un vero peccato visto che gli studi che abbiamo pubblicato hanno dimostrato che lo screening ha ridotto la mortalità in Trentino, che è passata da 40 casi ogni 100 mila abitanti a 25. Se l’adesione fosse più alta la mortalità sarebbe ancora più bassa. Abbiamo anche dimostrato che lo screening previene il cancro. Siamo passati da 120 nuovi casi ogni 100 mila abitanti a 80.

Altra cosa che le ha dato soddisfazione?

Sono contento di aver dimostrato che organizzazione multizonale è molto efficacie. Il fatto di avere una regia unica dei medici che vanno nei vari ospedali all’inizio non era vista bene, ma se si fa una vera organizzazione multizonale è stato provato che ci sono dei grossi vantaggi. Prima di tutto per i cittadini ai quali vengono garantite le stesse cure su tutto il territorio, ma anche per i professionisti che possono lavorare sia negli ospedali più grandi che in quelli di valle facendo parte di un gruppo più grande.

Altro motivo di orgoglio è che siamo stati i primi ad avere un sistema informatico in tutti gli ospedali perfettamente integrato grazie al quale è possibile archiviare sia le immagini che i filmati in modo da poter discutere tra di noi i vari casi sia ad esame finito che durante lo svolgimento.

Ora che è in pensione di cosa si occuperà dottor de Pretis?

Continuerò a lavorare, anche se con ritmi più tranquilli. Farò ambulatorio sia Bolzano a Trento, ma potrò anche dedicarmi ai miei hobby. Ho un’azienda agricola con mele e ciliegie in valle di Non e poi sono un appassionato di sci d’alpinismo.

Un ultimo appello all’Azienda per la quale ha lavorato così a lungo?

Ricordo che la disponibilità di tecnologie all’avanguardia è fondamentale, soprattutto laddove si effettuano esami invasivi e che quindi non si ripetono facilmente. Qui hanno sempre garantito le migliori apparecchiature e spero continuerà ad essere così. A breve si concluderà la gara per il rinnovo del noleggio, un’opportunità anche per alzare il livello negli ospedali di valle. É noto che si fa sempre più fatica a trovare professionisti e per attirarli l’unico modo è offrire una formazione stimolante e tecnologie all’avanguardia.

comments powered by Disqus