Curarsi lontano da casa: 750 mila migranti della salute

Ogni anno 750mila persone scelgono di farsi curare lontano da casa: si tratta di persone che per i motivi più diversi scelgono di gestire un problema di salute in una regione diversa dalla loro, e 400mila di questi si trovano in situazioni di grave disagio.

Ogni anno 750mila persone scelgono di farsi curare lontano da casa: si tratta di persone che per i motivi più diversi scelgono di gestire un problema di salute in una regione diversa dalla loro, e 400mila di questi si trovano in situazioni di grave disagio. Un vero e proprio fenomeno di «migranti della salute», tracciato a Milano in un incontro organizzato da Ubi Banca e CasAmica, un’organizzazione di volontariato che dal 1986 accoglie i malati (e i loro famigliari) costretti a spostarsi in altre città per cure e interventi chirurgici.

A questi migranti della salute si aggiungono circa 640mila accompagnatori, per un totale di circa 1,5 milioni di persone in movimento. Il 25% circa «si allontana non più di 100 km da casa, il 12% non più di 50 km, mentre un altro 23% fa un viaggio di oltre 400 km», come si legge in un rapporto Censis per CasAmica. Grazie alla collaborazione tra Ubi Banca e CasAmica, alla onlus sono stati devoluti 200mila euro «provenienti dalle commissioni di collocamento e di un ammontare pari al 4% delle commissioni di gestione annue del fondo Ubi Pramerica Bilanciato Etico». I fondi finanzieranno le attività dell’associazione, che gestisce diverse case di accoglienza in più città d’Italia e che solo a Milano può dedicare 100 posti letto ai migranti della salute e ai loro accompagnatori.

La scelta di «migrare» in un’altra regione «rappresenta nella grande maggioranza dei casi una decisione del cittadino - si legge nel rapporto - legata principalmente alla ricerca di prestazioni sanitarie particolarmente qualificate per la propria patologia. Si tratta quindi di una scelta informata», ricavata nella maggior parte dei casi (55%) dal medico di famiglia, o attraverso familiari e amici (18%). Infine, la scelta di migrare «non sembra legata esclusivamente all’esigenza di curare patologie più gravi», dato che il 21% ha bisogno di un ricovero di oltre 15 giorni, ma nel 25% dei casi il ricovero è di 1-3 giorni. «Lo spettro delle patologie per le quali si decide di migrare può essere quindi abbastanza ampio e comprendere prestazioni che richiedono una permanenza in ospedale piuttosto limitata».

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