Tanta buona sanità e tante brave persone

La lettera al direttore

Tanta buona sanità e tante brave persone

Gentile dottor Faustini,
converrà che le buone notizie danno sapore e colore alla quotidianità. Desidererei condividere con lei una di queste di cui sono stata co-protagonista fino a ieri. Il contesto è l’unità semplice di ematologia dell’ospedale S. Chiara di Trento. In quel reparto la competenza medica, quella infermieristica e le attività degli operatori socio sanitari (Oss) sono così integrate tra loro da formare un insieme armonico e dinamico in continuo aggiornamento ed arricchimento esperienziale. Tutto ciò con al centro il paziente.
La mia degenza, continuativa, si è protratta per oltre 2 mesi durante i quali ho affinato l’arte dell’osservare.
Procedo con ordine. Era un lunedì dello scorso settembre quando inaspettatamente ed in perfetta lucidità mi sono trovata catapultata dalla mia realtà in quella ospedaliera più rigorosa, con una diagnosi che in modo eufemistico definisco tosta. Ho trascorso 6 settimane in “isolamento protettivo”, una strategia terapeutica propria della cura e dell’assistenza in ematologia. Essa impone al paziente l’impossibilità di lasciare la camera di degenza, al familiare di limitare le visite a poche ore la settimana e solo se autorizzate ed al personale - sia sanitario che non sanitario - l’obbligo di sottoporsi, ad ogni nuovo ingresso in stanza, ai riti del lavaggio rigoroso delle mani e della vestizione (copricapo, mascherina, copricamice). In quella situazione la relazione paziente - interlocutori avviene solo tramite il linguaggio degli occhi e la voce. Eppure non ho mai avvertito la solitudine - forse perché gli ingressi giornalieri non sono mai stati inferiori a 30 - ed anzi ho sperimentato la levità.
Certo, ci sono stati momenti molto difficili ma tutti sono stati superati col sostegno di quella efficace rete assistenziale. Non a caso la struttura è sede di tirocinio degli studenti del corso di laurea infermieristica e degli allievi Oss.
La responsabile del reparto è la dott. sa Anna Guella. La terapia, personalizzata, è all’avanguardia e segue protocolli internazionali.
Il coordinamento delle attività assistenziali è di competenza della caposala, la sig.ra Roberta Piffer, abile organizzatrice.
Il mio processo di cura era affidato alla dott.sa Laura Paoli esperta, tra l’altro, con la dott.sa Teresa Aloisi nel “tocco” delicato praticando una indagine diagnostica, sovente dolorosa, ma fondamentale per la diagnosi e la terapia.
Nei momenti di scoraggiamento mi è stata di grande aiuto la dott.sa Rita Cavalleris, la psicologa.
Non posso dimenticare il contributo discreto e di grande conforto dei cappellani ospedalieri, frate Ezio e don Cornelio, e la professionalità degli “piccologi” infermieri specializzati nel posizionamento del PICC, uno speciale catetere venoso centrale.
Un doveroso apprezzamento va ai tecnici della radiologia e della radiodiagnostica ed alla loro Oss ma soprattutto alle signore addette all’igiene ambientale per la cura e la scrupolosità del loro operato, tra queste la signora Susanna, trentina; la signora Elena, rumena; la signora Sofia, peruviana; la signora Mirca, polacca.
In questa significativa esperienza di malattia sono state tante le persone che hanno contribuito a lenirla ed ora che è iniziata la riconquista del ben essere, ognuna di loro è entrata in modo indelebile nella mia storia personale.
Come non essere tutti noi fieri di questi professionisti ancore di salvezza per coloro che hanno perduto il dono della salute?

Lettera firmata


 

Che belle le sue parole!

Prima di tutto grazie per quanto mi ha scritto - nell’ultima parte della lettera, che ho considerato privata - a proposito dei miei interventi a prima pagina, su rairadiotre: è una palestra faticosa, ma anche capace di arricchire non poco. Ma il grazie più grande glielo devo per averci ricordato, con questa sua lettera, quanta buona sanità ci sia dalle nostre parti.
Non smetterò mai di dire che si tende a segnalare quasi esclusivamente ciò che non funziona - e qualcosa che non funziona ovviamente c’è sempre - facendo finire sui giornali la famosa malasanità.
Lei e altri lettori fate però l’opposto: trovate il tempo, magari anche dopo una lunga degenza, di prendere carta e penna non per denunciare, ma per elogiare, per ringraziare, per sottolineare il quotidiano e speciale lavoro di molte persone che ogni giorno accudiscono in modo unico le tante persone che hanno bisogno di cura. Che belle le sue parole! In particolare le ultime, con quel ricordo indelebile - che è fatto di persone che hanno saputo tenerla per mano in un momento di grande fragilità - che l’accompagnerà per sempre.

a.faustini@ladige.it

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