Le imprese verso la ripartenza Garofalo: "Vincerà la sfida chi sarà capace di cambiare"

di Paolo Micheletto

Alessandro Garofalo è nella sua casa di Bardolino.
«Sono qui da 36 giorni. Sono uscito due volte a fare la spesa». Però ha lavorato molte ore al giorno, ogni giorno, e ha ragionato su come le aziende potranno ripartire. Già presidente di Trentino Sviluppo, fondatore di una società (la Garofalo & Idee Associate) che opera nell’area dello sviluppo creativo, Garofalo anticipa alcuni consigli che gli imprenditori dovrebbero seguire per adattarsi meglio al nuovo mondo che tutti noi troveremo quando potremo uscire da casa.

Dottor Garofalo, da cosa si dovrà ripartire?

Da una riflessione profonda sulla propria comunità di persone e sulle modalità operative del proprio business. Già ora è fondamentale "curare" le persone e garantire un engagement (coinvolgimento, ndr) continuo. Sarebbe un errore parlare del passato, perché in questo caso si rischia di diventare un imprenditore che guarda solo negli specchietti retrovisori. Si dovrà essere innovativi e guardare avanti.

Ci fa alcuni esempi?

Potrebbe sembrare banale, ma tutti dovranno riorganizzare i processi in funzione delle nuove regole di sicurezza. Chi lo può fare, continui a pagare i fornitori, per non interrompere il processo produttivo di filiera. Tutti dovranno fare Risk Management, prevedendo una mappa dei rischi. Si dovrà essere pronti ad alternative diverse: non ci potrà essere un piano unico o una sola vision. All’inizio della mia carriera si facevano piani anche di 10-12 anni, oggi tutto questo è diventato impensabile.

Altri consigli pratici?

La riduzione degli sprechi e l’ottimizzazione delle risorse. A volte si trascura l’area di servizio, ma questo non ce lo potremo più permettere. Nella qualità dei servizi ci sono margini che si possono recuperare: penso a cose molto pratiche, come ad esempio lo spegnimento delle luci quando non sono necessarie e la riduzione dei costi della non qualità. Concentrarsi sulla riduzione dei costi sarà fondamentale. Poi io credo molto nella creatività dal basso.

Vale a dire?

Penso al bisogno di una forte raccolta delle idee dei dipendenti. La gerarchia va bene ma i dipendenti sono molti di più, anche per una questione statistica è probabile che da loro arrivino idee molto interessanti. E inoltre dovremo sempre più imparare dall’errore: ogni imprenditore ci deve convivere, ogni successo ha tanti fallimenti alle spalle. Prendiamo spunto da Samuel Beckett: «Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio».
Sarà fondamentale la capacità di adattamento.
Vince chi capisce che il mondo è cambiato e si adegua.
Dovremo essere dei cani da tartufo, che annusano i nuovi trend politici, sociali, economici e legali. Dovremo tenere gli occhi aperti. Faccio un esempio che riguarda il settore degli alberghi, per i quali la riduzione del giro d’affari è stata molto pesante. Anche quando potremo tornare a viaggiare ci chiederemo se le stanze sono disinfettate, e come sono state disinfettate. Ecco, l’imprenditore dovrà essere in grado di rispondere a queste domande. Io credo che tutti saremo disposti a spendere dieci euro in più se ci verrà dimostrato che la sanificazione è stata realizzata nel migliore dei modi. Ma non solo: per tutte le imprese cambierà il modo di fare pubblicità: finora si è puntato sullo storytelling, sulla capacità di creare e raccontare emozioni, ma da oggi ci interessano i fatti. La pubblicità ci dovrà quindi raccontare cosa fa quell’azienda, in modo essenziale, pulito e ridotto all’osso.

Quali sono le priorità, magari da attuare già adesso?

L’ho detto: riorganizzare i processi produttivi e di servizio nell’ottica delle nuove norme di sicurezza a tutela della salute, rispettando il distanziamento. Poi aumentare la digitalizzazione e investire in cybersecurity, oltre a fare azioni di benchmarking con colleghi imprenditori e manager per discutere e condividere approcci e problemi. E ancora: sanare le cicatrici e le ferite che questa situazione ha lasciato nella mappa valoriale della propria azienda per riconsolidare il senso di appartenenza.

Dottor Garofalo, le aziende più strutturate potranno vincere la sfida. Quelle piccole, invece, non potranno seguire i suoi consigli, anche perché tante imprese hanno poco personale.

L’azienda strutturata può avere dei vantaggi, ma quella piccola ha il pregio della velocità e dell’inventiva. Alcuni ristoranti, ad esempio, hanno iniziato a fare la consegna a casa, e lo faranno anche per il pranzo di Pasqua, tra l’altro a prezzi interessanti. Sono stati bravi a sfruttare una nuova opportunità. Dobbiamo concentrarci sui cambiamenti delle esigenze dei clienti e cogliere le domande inesplorate o insoddisfatte.

Magari coinvolgendo i clienti stessi, che in queste settimane si sentono abbandonati.

Dal ferramenta al grande imprenditore, tutti dovranno ascoltare i clienti uno ad uno, chiedendo loro come stanno cambiando le vite di ciascuno. La creatività è infinita, mettiamola in pratica. Penso alle palestre che si sono inventate i tutorial a casa. Oppure alla ristorazione: il distanziamento sociale dovrà portare a turni diversi, a causa dell’affollamento, e all’introduzione di più turni di erogazione; non sarà più possibile mangiare solo a mezzogiorno, come si faceva prima in Trentino. Tutti dovranno cambiare il modo di dare il servizio, magari inventandosi un self service distanziato, organizzando le file. Tante aziende dovranno creare le postazioni di coworking in stanze singole. E gli alberghi dovranno rafforzare il servizio dei pasti in camera: chi tornerà volentieri a mangiare in stanze affollate? Ma guardate che cambierà tutto il rapporto con la clientela e tra i colleghi.

A cosa fa riferimento?

Alla nostra gestualità latina, fatta anche di strette di mano, di baci e abbracci. All’inizio saremo in difficoltà ma dovremo adottare tipologie di front office contrarie al nostro paradigma. Dovremo essere più scandinavi, uscendo dalla sfera di comfort.

Poi si dovrà lavorare molto sulla psicologia dei clienti e dei colleghi. Tutti abbiamo paura dell’altro.

Esatto. Resterà una cicatrice profonda. Questa situazione sta creando vere ferite dal punto di vista aziendale. Il team che fine farà? Se un lavoratore si prende il coronavirus tutta l’azienda sta a casa. Ma questo vale anche con i vicini di casa: prima si chiacchierava, oggi ci si saluta a distanza, al massimo.

Lei cosa ha apprezzato di più dell’obbligo di restare rinchiuso in casa?

La possibilità di fare un riordino profondo.
Usando una metafora, di pulire il tavolo. Ho dedicato molto tempo a mettere in ordine tanta documentazione e i libri, non solo di lavoro. È stata una cosa che mi ha dato soddisfazione. Poi mi è venuta un’Idea che realizzerò in un master per l’università di Padova: un incontro tra due libri. Ne prendo due a caso, li metto sulla scrivania, ne faccio una breve sintesi (tre minuti) e mi sforzo di unire i contenuti dei due libri. L’obiettivo è di vedere quale creatività esce. La prima sfida sarà tra la biografia di Adriano Olivetti e «Ozio creativo» di Domenico De Masi.

Lei crede che la maggioranza delle persone abbia sfruttato bene tutto questo tempo in casa?

Io credo di sì. Molti hanno puntato sulla possibilità di sviluppare i propri hobby, siano essi la lettura o la cucina. Tanti fanno ginnastica e hanno scoperto nuovi interessi o interessi sopiti. Ho una convinzione: questa crisi farà sì che la gente investirà qualche soldino per rendere la propria casa più funzionale, ad esempio con la postazione di lavoro un po’ più efficiente. Certo, ora l’impressione è che ci stiamo annoiando un pochino, ma resteranno alcuni propositi di questi giorni.

Cosa consiglia per fare in modo che questi propositi non evaporino in poco tempo, una volta tornati a una vita un po’ più agiata?

La prima regola che consiglio è: rubare con gli occhi. Rubare in senso positivo, ad esempio lasciandosi ispirare da una visita virtuale ad un museo. Le riviste che ricevo in abbonamento ora le leggo con più fame e attenzione, e le fotografie mi stimolano sempre associazioni nuove, E poi come Alessandro Baricco, il mio preside alla Scuola Holden di Torino, sono un maniaco delle liste e delle mappe. È importante scrivere tutto per fissare le cose. Per farlo mi affido a qualsiasi mezzo.
Ad esempio a volte scrivo i miei appunti anche su tovagliette di carta mentre mangio e poi li porto con me sulla scrivania e implemento le idee.
Impariamo da Leonardo Da Vinci: scriviamo su oggetti nomadi tutto il quotidiano che ci colpisce. E ancora: usiamo le mani, dando sfogo ai nostri hobby pratici, come cucire a macchina, curare i fiori, cucinare. Insomma, lavoriamo sui cinque sensi.

Le manca non usare la macchina?

Questa è una delle cose che non mi mancano. Faccio 80mila km all’anno e tanti altri in treno.
Penso quindi al risparmio ecologico legato alla nostra immobilità e sono sicuro che faremo scelte sempre più responsabili dal punto di vista ambientale: del resto, dovremo trovare una priorità di valori diversa da quella che abbiamo avuto fino ad oggi.

Cosa consiglia a chi si dovrà inventare una nuova vita, per scelta o perché costretto?

Io mi rimetterei in gioco. Del resto, io stesso lo sto già facendo, perché lavoro con le persone e devo rivedere tutto. La crisi va vista come un’opportunità, come ci ha insegnato Albert Einstein nel suo celebre discorso del 1955, Ogni moneta ha due lati e se non la lancio avrò in ogni caso buttato via un’opportunità.
Siamo chiamati a gestire l’incertezza, se abbiamo le idee proviamo a cambiare in meglio.

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