Economia / Commercio

A Trento l'anno scorso per ogni nuovo bar aperto due hanno chiuso: è allarme rosso

La preoccupazione degli esercenti dopo due anni di pandemia: «Questa è nulla più che sopravvivenza. Non ce la facciamo tra calo dei fatturati e impennata dei costi»

LA CRISI Rincari dell'energia, crisi nera

di Daniele Benfanti

TRENTO. «Questa è nulla più che sopravvivenza. E molti esercizi pubblici rischiano di chiudere. Non ce la facciamo tra calo dei fatturati e impennata dei costi».

Fabia Roman, presidente dell'Associazione dei pubblici esercizi del Trentino e titolare del bar Venezia a Trento ha concluso così la conferenza stampa presso Confcommercio, affiancata dal segretario Michael Giacomelli, in cui la categoria dei baristi ha manifestato tutte le difficoltà del momento.

Per un bar aperto, nel 2021, ce ne sono stati due che hanno abbassato le serrande: ne sono stati aperti 71, mentre le cessazioni sono state 153.

Più in città che nelle valli.

E il 2022 si è aperto con due titolari di bar su tre che si dicono preoccupati o pessimisti, secondo il sondaggio compiuto dalla stessa Associazione pubblici esercizi, cui hanno risposto 200 titolari di bar, per tracciare un primo bilancio dell'inverno 2021-22.

I motivi d'ansia non mancano e sono concreti.

Il commercialista e consulente Marcello Condini (professore a contratto di finanza all'ateneo trentino) ha portato i dati delle ultime bollette energetiche ricevute dagli esercenti: un kilowatt/ora in fascia 1 a dicembre 2021 è costato 0,33 centesimi. Un mese prima 0,27.

A novembre 2020 soltanto 0,07. Un aumento del 353% in provincia di Trento (Unioncamere stima questo aumento addirittura del 395% nel resto d'Italia).

Walter Botto, titolare di due bar in piazza Duomo, come il Pasi e il Tridente, esemplifica: «Una bolletta annua per un locale da cento metri quadri rischia di arrivare a 60mila euro. Negli ultimi mesi è già salita da tremila a 4.500 al mese, e figuriamoci la prossima estate, con l'aria condizionata».

I problemi si moltiplicano. Aumentano i costi dell'energia, delle materie prime alimentari (anche a causa dei carburanti), c'è l'inflazione, ci sono i protocolli anti-Covid. Si svuotano i locali: mobilità ridotta, quarantene, paura dei contagi, crisi economica, assenza degli stranieri. Ma sarebbe un errore pensare che tutto il Trentino risponde nello steso modo alla crisi.

Il sondaggio dell'Associazione pubblici esercizi fotografa una situazione a due facce, cristallizzata al 20 gennaio scorso: nelle valli turistiche è andata un po' meglio, dato che dicembre e la prima decade di gennaio hanno visto ottime presenze turistiche legate allo sci e alle festività.

Ma se si paragonano i ricavi del periodo ottobre-dicembre 2021 con quelli dell'analogo periodo dell'ultimo scorcio pre-Covid (ottobre-dicembre 2019), il calo dichiarato è del 28%.

Nel frattempo le materie prime sono rincarate del 25% e ora incidono per il 51% sull'attività d'impresa. Come reagire? Aumentare i prezzi parrebbe la via più facile, ma c'è il timore di perdere clienti.

«Non basta aumentare il prezzo del caffè di dieci centesimi... Servirebbe aumentare di almeno 30 centesimi ogni consumazione» fa notare Walter Botto.L'88% degli esercenti trentini (bar) dichiara di pensare a un aumento, sebbene minimale. Solo uno su cinque intende praticare rialzi dei prezzi significativi. Ma il professor Condini, numeri alla mano, spiega che per mantenersi in linea di galleggiamento servirebbero aumenti medi del 16-18%.

Per la presidente Roman c'è anche la cosiddetta «burocrazia sanitaria», che «ha tolto voglia di socialità anche a chi è plurivaccinato e non rischia complicanze gravi». Due le richieste immediate per risalire la china: «Chiediamo a Stato e Provincia - spiega Roman - che anche nei bar, come appena introdotto per i negozi, il controllo del green pass sia solo a campione e non a tappeto, e il prolungamento a tutto il 2022, e non solo fino a fine giugno, dell'azzeramento dei costi per i plateatici e l'occupazione suolo pubblico. Abbiamo visto che i consumi sono ormai concentrati ai tavolini esterni dei bar».

Queste le soluzioni più a portata di mano: poi si invocano provvedimenti strutturali per ridurre i costi dell'energia, moratorie dei mutui, nuovi ristori, cassa integrazione Covid.

A proposito dei dipendenti, nel settore pubblici esercizi del Trentino a novembre 2019 lavoravano 37mila persone, scese a 29mila un anno dopo e risalite a 34.800 lo scorso novembre.

In due anni si sono persi 2.600 posti di lavoro. E il 2022 è iniziato con il freno a mano tirato.

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