Effetto covid: a Trento chiusi 62 negozi nel 2020

Gli effetti della pandemia sull'economia cittadina

La città di Trento, nell'anno appena trascorso, ha perso per strada 62 negozi. Ed è facile prevedere che purtroppo non saranno gli ultimi, in una crisi economica di cui si fatica a vedere il fondo. Banalizzando molto, sono quelli che non hanno superato il primo lockdown.

Ciò non significa, purtroppo, che sia finita qui. La riga si tirerà davvero solo la prossima estate. È a quel punto, con la chiusura dei bilanci, che si attendono gli scossoni più pesanti. Per ora il trend è netto sulle attività commerciali al dettaglio, mentre sugli alberghi e strutture ricettive in generale, l'onda sembra più lunga. A tenere meglio di tutti è il settore della ristorazione.

I numeri vengono dalla Camera di Commercio di Trento, che già la settimana scorsa aveva evidenziato come il numero di imprese attive fosse in calo, un po' in ogni settore. Ora, dando un'occhiata ai settori che maggiormente hanno risentito del lockdown della scorsa primavera e poi delle chiusure a fisarmonica, il trend è amplificato.

Commercio al dettaglio.

Sul fronte del commercio al dettaglio, nel Comune di Trento il calo è evidente: al 31 dicembre 2019 c'erano registrate 961 aziende (861 attive), mentre a fine 2020 si è passati a 944 aziende registrate, di cui tuttavia attive solo 843. Un trend per altro pure più pesante dell'andamento generale a livello provinciale (si è passati da 4419 aziende di cui 4093 attive a 4354, di cui attive 4038). Ancora più chiaro il dato, se depurato dalle nuove iscrizioni e dalle cessazioni. Perché è vero che i numeri non raccontano il perché un negozio chiude. Ogni storia è un caso a sé. Ma messe tutte assieme dando il senso di un settore in flessione. Solo a Trento sono stati 62 i negozi che hanno scelto di chiudere per sempre.

E a fronte di tutti questi progetti imprenditorali ormai finiti, c'è un dinamismo comprensibilmente non effervescente: solo 26 i nuovi negozi. D'altronde serve un certo eroismo per investire in un anno di pandemia. Un trend confermato sul resto della provincia (282 cessazioni, 129 nuove iscrizioni). «È il commercio al dettaglio il settore che ci preoccupa di più - osserva il direttore di Confesercenti - se escludiamo l'alimentare, il settore ha visto un calo di vendite del 13,9%. Inoltre ci sono due dinamiche negative: il potere d'acquisto dei cittadini, in flessione e l'aumento esponenziale del commercio on line, che finisce per togliere clientela ai nostri negozi». Il comparto no food soffre tutto, e in particolare quello dell'abbigliamento: «Abbiamo avuto negozi che hanno messo a saldo la merce ancora prima di Natale, riducendo così i margini. Ma è l'intera filiera a soffrire. Abbiamo agenti di commercio che stanno ora vendendo l'estate. Ma alcuni negozi hanno difficoltà ad approvvigionarsi, perché non sono in regola con i pagamenti dell'inverno. Questo causa problemi fino al livello della produzione: se i magazzini sono pieni, non si produce come al solito».

Per uscire dall'angolo, serve mettere in atto strategie diverse, spiega Cekrezi: «Anche gli imprenditori devono cambiare. Serve sensibilizzare la clientela sull'importanza di sostenere l'imprenditoria locale, serve che il commercio di prossimità si trasformi, magari come punto d'appoggio per l'acquisto on line e il ritiro in negozio, dove la professionalità del venditore può aiutare, magari con orari che vadano più incontro alle persone: se la gente lavora fino alle 17, forse conviene immaginare di tenere aperto dalle 17 alle 21». Idee messe sul tavolo, insomma. A sostegno di una categoria già provata e chiamata a ripensarsi un'altra volta.

Turismo.

Quanto al settore ricettivo - alberghi e strutture simili - in proporzione c'è meno movimento. In città sono rimaste 47 le aziende registrate, anche se calano quelle attive (da 42 a 39). Non si registrano a Trento cessazioni, mentre una nuova azienda ha chiesto l'iscrizione. Segno che anche in un anno di Covid c'è chi si impone di credere che torneremo ad essere un mondo accogliente, dove sarà bello muoversi. A livello provinciale, anzi, sono 10 le aziende che hanno chiesto una nuova iscrizione (mentre 31 sono quelle che hanno cessato l'attività). Anche se il dubbio che ci sia un'onda lunga rimane. Un dato su tutti lo fa temere: la maggior parte delle cessazioni risale all'ultimo trimestre del 2020.
Ristorazione. Questo è il settore che tiene meglio. Anzi, il saldo tra aziende attive tra 2019 e 2020 in città è persino positivo (si è passati da 532 a 540). Anche a livello provinciale il comparto tutto sommato tiene: si è passati dalle 2.777 aziende attive alle 2.751 di fine 2020, con una flessione minima. Quanto alle chiusure, in città sono state 38 (con 17 nuove iscrizioni), mentre in provincia siamo a quota 198 (con 82 nuove iscrizioni). «La ristorazione tiene abbastanza bene, è vero - conferma Confesercenti - hanno chiuso di fatto le start up, le aziende cioè che avevano aperto immediatamente prima dell'inizio della pandemia. Erano le più fragili e spesso non hanno retto. Le altre hanno tenuto».

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