Vini trentini, il rilancio al 50° Vinitaly

di Domenico Sartori

È con un cin cin in ossequio ai margini ritrovati che cantine e produttori di vino del Trentino si presentano al Vinitaly edizione numero 50. In mezzo secolo, il mondo del vino è profondamente mutato. Meno produzione, meno consumi nazionali, molto, molto più export. Basti ricordare che dal 1986, l’anno dello scandalo del metanolo, ad oggi la produzione nazionale di vino è scesa da 76,8 a 47,4 milioni di ettolitri e il consumo pro capite da 68 a 37 litri, e che nello stesso periodo le esportazioni si sono moltiplicate per sei (da 800 milioni a 5,4 miliardi), portando ad un raddoppio del fatturato complessivo del settore, nel 2015 arrivato 9,4 miliardi di euro.

È in questo contesto, dove la sfida è sempre più globale, che gioca la sua partita il Trentino vitivinicolo. Ed il fatto che ci sia un recupero sui margini è un segnale positivo in uno scenario che vede il vino del Belpaese competere con i francesi sui volumi ma sconfitto sui livelli delle remunerazioni. «Il mercato sta tenendo» dice Luca Rigotti, presidente del Gruppo Mezzacorona, che con Cavit e La Vis, rappresenta un tridente trentino di circa 430 milioni di fatturato nel 2015 «la classifica di Mediobanca (vedi servizio a lato, ndr) ci dà soddisfazione. Davanti a noi ci sono aziende che hanno una lunga storia alle spalle e una solida organizzazione, alcune che contano sulla forza del Prosecco. È un onore averle davanti». Per Mezzacorona l’export pesa per oltre l’80% del fatturato. Il grosso è rappresentato da Stati Uniti e Germania, dove il gruppo è presente con proprie società di distribuzione. Il vino è esportato in sessanta Paesi, anche in Giappone e Cina dove l’azienda si appoggia a resident manager.

«Per il mercato italiano» spiega Rigotti, la cosa più importante è mantenere le quote». Ed i prezzi? «Abbiamo fatti degli aumenti dei listini sia per l’export che per per il mercato nazionale, puntando molto sulla comunicazione legata alla qualità, alla tracciabilità e alla sostenibilità del prodotto. Lavoriamo bene con la la Gdo (grande distribuzione, ndr) ma aumentiamo anche nel HoReCa. Il Trentino è una realtà diversa dall’Alto Adige, ma una sua anima e credibilità. Gli spumanti sono eccezionali, Trento Doc è favoloso». Quanto pesa il Rotari per Mezzacorona? «Il 5% in volume, oltre il 10% in fatturato. Con oltre 2 milioni di bottiglie siamo leader a livello nazionale come Metodo Classico».
Enrico Zanoni da sette anni dirige Cavit, il colosso di Ravina che associa undici cantine sociali (4.500 viticoltori, 5.700 ettari lavorati, il 60% della superficie vitata trentina). «Chiudiamo il bilancio fiscale a fine maggio» dice Zanoni «ma posso già dire che la nostra crescita è costante e sostenibile».

Anche il fatturato di Cavit è per l’80% realizzato all’estero, in oltre cento Paesi. Stati Uniti, Italia, Inghilterra, Germania e Canada sono i principali clienti. «Ma anche Messico, Giappone e Corea del Sud ci stanno dando discrete soddisfazioni» commenta il manager di Cavit, che evidenzia l’aspetto dei margini in aumento: «Negli ultimi anni» dice «si è creato più valore rispetto ai volumi, grazie ad una gestione del mix tra prodotti e mercati di destinazione. Stiamo inoltre crescendo nel mondo della spumanti in senso lato, che garantiscono maggior valore. In Italia cresciamo sia nella Gdo che nell’HoReCa. Il vino più venduto è il Pinot Grigio, nelle sue varie segmentazioni, secondo la piramide qualititiva che va dalla Doc trentina all’Igt delle Venezie».

Sulla scelta dei vignaioli di tenersi fuori, contestando l’aumento delle rese del Pinot Grigio e la nuova Doc interregionale delle Tre Venezie, Zanoni si limita a dire: «Ognuno è libero di fare le sue scelte. Il disciplinare è un punto di riferimento. Se poi uno vuole fare più qualità, è libero di abbassare le rese». «Il recupero sulle marginalità c’è» aggiunge il presidente di Cavit, Bruno Lutterotti «ma bisogna tenere conto che all’aumento dei margini corrisponde un aumento dei costi in campagna». E per il futuro cosa si prospetta? «È importante» risponde Lutterotti «registrare il fatto che da tre anni c’è un recupero e una stabilizzazione dei margini. Ciò da modo alle aziende di pianificare i propri investimenti. Per il futuro, il lavoro che si sta facendo, dall’alta qualità nel vigneto all’alta qualità in bottiglia, ad un marketing adeguato, credo che potremo migliorare ulteriormente i margini, seguendo l’esempio dei francesi».
Che dopo il 2014, il 2015 sia stato un anno che ha portato fuori da una situazione molto difficile il settore vitivinicolo trentino lo conferma anche Paolo Endrici, patron delle Cantine Endrizzi. L’azienda, 5 milioni di euro di fatturato, in crescita di circa l’8%, spiega Endrici «vede una crescita molto intensa in Italia, mentre l’export si è consolidato, va bene ma senza grandi salti».

Per quanto riguarda il 2015, anche per il settore nel suo complesso, Endrici spiega che «dopo un 2014, anno peggiore della nostra storia, sul vino a livello italiano c’è una sensazione di maggiore positività ed è vero che si stanno recuperando margini».

Per Endrici, però, il Trentino non deve fermarsi, perché nel campo del vino, si fa «presto a perdere la notorietà che si è ottenuta in precedenza».
Endrici spiega quindi che occorre che la prima cosa da fare sia quella di fare alleanze tra i soggetti trentini. «Dobbiamo fare rete - sottolinea Endrici - da soli siamo troppo piccoli per poter contare, visto che rappresentiamo una percentuale molto piccola del vino italiano».
Il secondo suggerimento al comparto è quello di tornare a fare promozione. «Il Trentino non sta investendo nulla in marketing e promozione - spiega Endrici - da un anno in qua, siamo fermi nella comunicazione, e il Consorzio vini, con una scelta precisa, ha deciso di fatto di non comunicare». Ma nel vino, sostiene Endrici, «occorre comunicare e sostenere l’immagine del prodotto e del territorio che ha un valore molto importante e ricadute forti in campo commerciale».

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