«Allucinante il decreto sulla riforma delle rurali» Fracalossi (Federcoop): in Parlamento va modificato

di Domenico Sartori

«Allucinante». Se gli si chiede di definire il decreto legge di riforma del credito cooperativo, Giorgio Fracalossi prende fiato. Cerca l'aggettivo che più fotografa lo stato dell'arte: un misto di delusione, preoccupazione e incertezza. «Allucinante», dice. Il presidente di Federcoop e Cassa Centrale Banca ha letto e riletto il decreto voluto, fortissimamente voluto, dal premier Renzi, che ha tirato fuori dal cilindro, anche su sollecitazione di alcune banche di credito cooperativo (come Bcc di Cambiano e la Cassa Padana, esterne al sistema Federcasse), la «clausola di uscita» ( way out ), la via di fuga dalla holding nazionale: una bcc con oltre 200 milioni di patrimonio può trasformarsi in spa riscattando le sue riserve semplicemente versando all'erario un'imposta del 20%.

Presidente Fracalossi, ci dice prima di tutto cosa la convince del decreto?
«Pare condiviso, nella costituzione della capogruppo, il nostro approccio risk based: più una Cassa è sana, più sarà autonoma; più ha problemi, più sarà sottoposta al controllo della capogruppo. È un principio fondamentale, alla base del nostro progetto presentato a Bologna. Però si tratta di capire come poi sarà declinato il contratto di coesione, che sarà sottoposto all'organo di vigilanza».

Il decreto fissa il requisito di almeno un miliardo di euro di patrimonio per la capogruppo.
«Avremmo sperato fosse meno, una soglia tra i 500 e gli 800 milioni: 200 milioni in più non sono pochi. È un patrimonio che va costituito senza un euro delle singole Casse rurali. S'è parlato, nei giorni scorsi, di 20 miliardi in riferimento al patrimonio consolidato di tutte le bcc. Ma è una cosa diversa dal patrimonio della capogruppo che dovrà avere un patrimonio suo di un miliardo. Noi, attraverso il conferimento in Cassa Centrale di Phoenix, Ibt e di tutte le collegate, arriviamo circa a 500 milioni. Con un aumento di capitale sociale, arrivare a 700 milioni è una cosa, ad un miliardo un altra».

E adesso?
«A Bologna avevamo presentato il progetto basato sul risk based e sulla valorizzazione delle singole bcc, sulla loro autonomia operativa sul territorio, targato Cassa Centrale e Nord est, aprendo però un tavolo di confronto con Federcasse e Iccrea. Ad oggi non s'è deciso nulla, né in un senso né in un altro».

L'opzione per l'autonomia delle Raiffeisen altoatesine è sparita.
«Sì, e non sappiamo se per un refuso o per scelta politica. Ma è difficile pensare ad un refuso: erano sei, sette righe di testo concordate con il Ministero che dicevano chiaramente che nelle regioni a statuto speciale si possono costituire gruppi territoriali autonomi, senza limitazioni patrimoniali...».

Ed è anche confermato il way out per chi si trasforma in spa.
«È l'aspetto più sconcertante. Le riserve di una cooperativa non solo quelle di una qualsiasi impresa, in sospensione di imposta, per cui le puoi affrancare pagando una tassa. Il patrimonio di una cooperativa non è dei soci attuali, tant'è che se la chiudi il patrimonio va alla Promocoop. Con il way out si trasforma una partecipazione simbolica in una effettiva, scardinando la logica stessa della cooperativa e dei fondi indivisibili. Adesso si tratta di capire che rimedi apportare. Se una bcc con un patrimonio di 200 milioni si trasforma in spa, i soci diventano titolari di azioni vendibili sul mercato. E se i soci poi vendono, vendono una cosa che non è loro. Vengono i brividi».

La ratio, pare, è non costringere ad aderire ad un gruppo...
«Se è così, bastava abbassare il limite del miliardo per la capogruppo, in modo che i gruppi dissenzienti, come il Gruppo Cabel (toscano, ndr), possano costituire il loro gruppo cooperativo».

Qual è il timore?
«Ora ci sono due mesi per la conversione del decreto, sperando che il Governo non metta la fiducia, e altri 18 per costituire i gruppi. Una banca può però restare in attesa per vedere che succede... Il vero problema è l'adesione delle banche sane, visto che si parla di consolidamento. Se una bcc è in crisi e va risanata, dove si prendono le risorse? Se non le ha la capogruppo, dalle bcc che hanno una eccedenza patrimoniale».

Cosa si aspetta, ora?
«Che si riveda il way out: il patrimonio indivisibile, intergenerazionale, non può essere alienato con una semplice imposta sostitutiva. I soci di una Cassa non sono proprietari, sono "usufruttuari"».

L'ipotesi di un emendamento per rendere meno appetibile la via di fuga alzando l'imposta al 50% va bene?
«Sì. Ma deve avere coraggio il Governo. Chiaro che con il 50% di imposta una banca vedrebbe dimezzato il patrimonio, che concorre, con l'attivo, a determinare i coefficienti di solvibilità. Col 20% calerebbe a 160 milioni. Con il 50% si renderebbe impraticabile la trasformazione in spa. Non so dire, però, se è sufficiente. L'effetto perverso del decreto è che ora stanno tutti pensando a come fuggire, piuttosto che alla costituzione di un gruppo forte».

C'è chi dice che una bcc può costituire una spa per fare banca, restando socio unico, per evitare la imposta sostitutiva?
«Leggendo il decreto non pare sia così».

I parlamentari della regione hanno posizioni diverse: il Patt punta ora sul gruppo regionale. È possibile?
«Con il miliardo richiesto, la holding nazionale è l'unica ipotesi per noi oggi percorribile. Fare un gruppo regionale vorrebbe dire rinunciare a tutte le banche che oggi lavorano con Cassa Centrale e hanno sede fuori del Trentino: perderemmo 160 banche».

Impraticabile?
«Vorrebbe dire perdere 160 banche cui si offrono prodotti, servizi, carte, fondi di investimento, rinunciando anche ai relativi introiti fiscali per la Provincia».

Li avete quantificati?
«Sì. Si tratta di circa 60-70 milioni. Non sono bruscolini. Rinunciare a Cassa Centrale comporterebbe subito un problema: con 40 banche non ti puoi più permettere la struttura industriale esistente, con 208 dipendenti».

Quindi la proposta del Patt di puntare ora su un gruppo regionale non è praticabile?
«Se resta l'attuale decreto, no. Le Raiffeisen altoatesine hanno due alternative: o aderiscono a un gruppo nazionale; o cercano di costituire un gruppo, con noi o con altri, per avere almeno un miliardo di patrimonio».

Casse Rurali trentine e Raiffeisen assieme a quanto arriverebbero?
«A circa 800 milioni di patrimonio, sommando la loro Cassa Centrale e la nostra consolidata. Ma noi stiamo ragionando su un tavolo nazionale, per salvaguardare le nostre realtà industriali, Cassa Centrale, Phoenix e Ibt. Non dico che il gruppo regionale non sia praticabile. Ma servono 200 milioni per arrivare al miliardo e c'è da capire se sta in piede dal punto di vista industriale, se le banche venete e friulane nostre socie aderiscono. Un gruppo fatto solo con le Casse della regione non ha senso...»

Cosa osta che, una volta costituito un gruppo regionale, Phoenix e Ibt continuino a produrre servizi per l'esterno?
«Il fatto che ogni banca che aderisce ad un gruppo usufruisce dei relativi servizi. Non c'è solo un problema di patrimonio. Oggi Phoenix e Ibt servono 171 bcc in Italia. Se metà aderiscono a Trento e le altre no, si perdono metà clienti. Ma la vera incognita, ora, è capire se le banche aderiranno alla holding: ce ne sono 15 sopra i 200 milioni, ma se partono altre fusioni entro i diciotto mesi? Nel decreto non c'è una data oltre la quale sono vietate».

La delegazione parlamentare non è coesa, se Fravezzi va da una parte e Panizza dall'altra...
«Vale la pena sedersi attorno ad un tavolo e discutere di cosa significhi costituire un gruppo, anche dal punto di vista industriale, non solo patrimoniale».

Contatti con le Raiffeisen?
«Dopo il decreto, no».

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