Basta costruzioni, ora più terreni agricoli

Gli ultimi 40 anni in Trentino, fino alla crisi dell'edilizia del 2008, sono stati impressionanti per consumo di territorio e dimensioni della cementificazione. Non soltanto negli anni Settanta e Ottanta, ma ancora tra il 2005 e il 2007 si sono registrate (dati Servizio Statistica della Provincia) edificazioni e ampliamenti di costruzioni per 4 milioni e 500 mila metri cubi l'anno. Decine e decine di milioni di metri cubi di cemento sono stati aggiunti anche dopo il piano urbanistico provinciale del 1987, e quello del 2003, in quest'ultimo caso soprattutto per capannoni, che in buona parte risultano tuttora inutilizzatiI tuoi commenti

di Pierangelo Giovanetti

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Gli ultimi 40 anni in Trentino, fino alla crisi dell'edilizia del 2008, sono stati impressionanti per consumo di territorio e dimensioni della cementificazione. Non soltanto negli anni Settanta e Ottanta, ma ancora tra il 2005 e il 2007 si sono registrate (dati Servizio Statistica della Provincia) edificazioni e ampliamenti di costruzioni per 4 milioni e 500 mila metri cubi l'anno. Decine e decine di milioni di metri cubi di cemento sono stati aggiunti anche dopo il piano urbanistico provinciale del 1987, e quello del 2003, in quest'ultimo caso soprattutto per capannoni, che in buona parte risultano tuttora inutilizzati.


Di pari passo all'edificazione, in Trentino viene rilevato (sempre dati dell'Ufficio Statistica della Provincia) un altissimo numero di case sfitte, immobili abbandonati, costruzioni vuote e non utilizzate, in molti casi (le città di Trento e Rovereto vantano una casistica considerevole e tristemente visibile) veri e propri orrori pubblici, aree degradate, scheletri murati per impedire l'accesso dei senza fissa dimora. Solo il comune di Trento conta oltre 1.100 abitazioni sfitte, ossia non utilizzate da più di due anni, e altre 5.600 «a disposizione», utilizzate saltuariamente magari come seconda casa.


A fronte di tutto ciò, come ha bene evidenziato l'inchiesta sull'Adige di ieri di Giorgia Cardini, cresce sul territorio trentino la richiesta di terra da coltivare per il consistente aumento di occupati in agricoltura, soprattutto giovani. Nel primo trimestre 2014 si contano 7.750 addetti in più nel settore agricolo, rispetto all'anno precedente.

 

 Un balzo a due cifre (+21%), dimostrando che proprio il ritorno alla terra costituisce un'importante valvola di sfogo all'emorragia di posti di lavoro. La fetta più consistente infatti riguarda giovani under 35. E molti di più potrebbero essere, ma vi è estrema difficoltà a trovare terreni a disposizione.

 
Questi dati mostrano con evidenza come sia urgente oggi aprire una riflessione profonda sull'idea di Trentino che vogliamo per i prossimi anni, e sulla necessità, ormai non più rinviabile, di porre un freno radicale al consumo di ulteriore territorio, per varare invece una decisa politica di riqualificazione paesaggistica e territoriale, di recupero di aree abbandonate o degradate, e di ristrutturazione edilizia dell'esistente, soprattutto le zone di periferia ma anche i centri storici, con intere aree di palazzi e gruppi di case chiusi e disabitati.
 
Occorrono coraggio, visione, lungimiranza, volontà politica e anche qualche scelta radicale, come quella proposta dall'assessore Carlo Daldoss di disincentivare la costruzione di nuovi edifici su terreno libero facendo pagare in tal caso il doppio degli oneri, e invece offrendo forme di perequazione tra chi riqualifica e chi costruisce ex novo.
 
Serve una profonda, diffusa consapevolezza anche nell'opinione pubblica che il territorio trentino, soprattutto nel fondovalle, è estremamente limitato, e va utilizzato con massima cautela perché rischia di non essere più rigenerabile.
 
Dall'altra va preso coscienza a tutti i livelli, non solo politico e amministrativo di comuni e comunità di valle ma anche imprenditoriale e di associazioni di categoria, che ulteriori espansioni edilizie non sono possibili. Ciò che invece va fatto e può generare lavoro anche per il comparto dell'edilizia piegato da una crisi strutturale di sovradimensionamento, è invece la ristrutturazione dell'esistente e la riqualificazione delle aree degradate.
 
Questo deve diventare la priorità dei comuni nella predisposizione dei Prg: togliere ciò che è stato edificato e non serve più e pensare - come nell'inchiesta dell'Adige ha suggerito l'assessore Mauro Gilmozzi - a precisi piani di comparto per riqualificare paesaggisticamente aree degradate nelle vallate e nei centri urbani attraverso strumenti quali la compensazione edilizia e la rigenerazione di spazi periferici e abbandonati.
 
Su questo le scelte della giunta provinciale (anche sotto forma di incentivi o più probabilmente di restrizioni di finanziamenti a chi non va in tale direzione) saranno decisive. Ad oggi il potenziale edificabile in metri cubi nei comuni trentini raggiunge cifre spaventose. Non possiamo immaginare che sia solo la crisi edilizia a contingentare tale enorme massa di cemento che si dilata di anno in anno e inghiotte le sempre più ridotte aree di terreno libero a disposizione. Vanno impresse linee di direzione chiare, precise, senza tentennamenti o ripensamenti.
L'obiettivo deve essere duplice.
 
Da una parte un'azione decisa di trasformazione dell'esistente per riqualificare il paesaggio (che è un bene collettivo imprescindibile, tanto più per un terra turistica come la nostra che ha nella bellezza la sua risorsa e il suo patrimonio più importante). La concezione da anni Settanta e Ottanta di massimo sfruttamento del territorio va definitivamente archiviata per fare spazio ad un concetto di valorizzazione del paesaggio, che serve non  soltanto ad una migliore qualità della vita di chi vi abita ma è attrazione turistica per il visitatore, ed occasione di sviluppo economico per le imprese edilizie e di settore.
 
Dall'altra il recupero di territorio deve essere pensato ed indirizzato anche verso un più qualificato sviluppo rurale, occasione di reddito specialmente per le giovani generazioni di fronte alla ricerca del consumatore di prodotti autentici, garantiti nella qualità, legati all'ambiente, prodotti secondo tecniche biologiche e di rispetto dei cicli naturali. Pensiamo soltanto al comune di Trento e alla presenza, da Mattarello a Gardolo, di terreni incolti di cui non si sa cosa farne e quale destinazione offrirvi. Dopo la definitiva archiviazione del progetto «cittadella militare» a Trento Sud vi sono 28 ettari di campagna un tempo qualificata che vanno assolutamente restituiti all'agricoltura, a giovani coltivatori, magari anche in una forma innovativa di «agricoltura sociale» e di messa a disposizione dei terreni in affitto, incentivando coltivazioni biologiche o impiego di persone con disabilità o con altri problemi.
 
Stessa cosa a Trento Nord, nei 30 ettari esistenti fra Interporto e Trentino Trasporti, almeno fino a quando non si deciderà qualcosa sul trasferimento della Motorizzazione. O i 18 ettari a Canova, destinati ad espansione edilizia (300 appartamenti), a fronte di centinaia di appartamenti invenduti in città. Ma ancor più radicale deve essere la riconversione di aree (ve ne sono anche a Spini di Gardolo) con destinazione urbanistica produttivo-industriale, mentre decine e decine di capannoni giacciono inutilizzati.
 
Per arrivare a ciò vanno identificate e quantificate le aree che possono essere restituite a verde agricolo, o distolte da ulteriore edificabilità come aveva previsto la legge del 2011 sui fondi rustici, rimasta lettera morta.
 
Le ultime due generazioni in Trentino hanno consumato territorio più di tutte le generazioni precedenti messe assieme in migliaia di anni di storia. Bisogna fermarsi, finché si è ancora in tempo. E anzi sanare le ferite inferte all'ambiente, specialmente dagli anni Sessanta in avanti.
L'identità di un popolo è indissolubilmente legata al suo territorio. Solo recuperandolo potremo riappropriarci in profondità del nostro essere trentini.
 
p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige
 

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