Società / Intervista

Il gelo demografico in Trentino, l'esperta: «Nella denatalità anche lati positivi»

Agnese Vitali , docente all'Università di Trento e membro dell'Associazione italiana studi di popolazione, critica il report della fondazione Nord Est, secondo il quale al 2040 in provincia si saranno persi 21 mila unità residenti

LO STUDIO Trentino, nel 2040 popolazione in caduta libera
ALLARME Crollo verticale delle nascite, il 2023 anno nero in Trentino
IL TREND L'indagine sulla denatalità nei comuni del Trentino
ANALISI «Non bastano i bonus: rimuovere gli ostacoli alle nascite»
ESPERTO Perché tanti giovani trentini non intendono avere figli

TRENTO. Una ricerca banale in cui non si vede nulla di nuovo. Da demografa, docente all'Università di Trento e membro del consiglio scientifico dell'Associazione italiana studi di popolazione, Agnese Vitali boccia decisamente l'impostazione del report della Fondazione Nord Est, che ha rielaborato i dati demografici Istat 2023, che avevano suonato l'allarme sul record negativo di natalità. Sarà soprattutto il Nord Italia, è il pronostico, a farne le spese: entro il 2040, tra soli 17 anni, il Settentrione registrerà un saldo negativo di 2,3 milioni di residenti rispetto all'attuale: si passerà dai 27,4 milioni di abitanti del 2023 a 25,1 milioni.

La popolazione del Trentino da qui al 2040 calerà di quasi 21mila unità passando dai 543mila abitanti attuali a 522mila. In percentuale è un calo del 3,8%, il più basso di tutto il Nord Italia ad eccezione della provincia di Bolzano dove la diminuzione sarà solo dell'1,2%.

Cosa non la convince professoressa?

Io non sono per niente d'accordo con chi vede solo il negativo di una situazione conosciuta e risaputa. Con la Fondazione italiana di Popolazione stiamo scrivendo un volume per Il Mulino che uscirà nel 2025 in cui vogliamo proporre una visione positiva della demografia. Su questa linea è anche Francesco Billari, demografo e Rettore della Bocconi, che nel suo volume uscito a Natale ha un messaggio più propositivo.

Partiamo dalle cifre. Veramente non c'è nulla di nuovo in questo studio?

Francamente no. Sappiamo da tempo qual'è la situazione e parlare di nascite in calo è inutile. È chiaro che se negli anni Settanta e Ottanta sono nati meno bambini rispetto agli anni del boom economico, con il picco di oltre un milione di nascite del 1964, ora gli effetti si ripercuotono a cascata . Oggi il numero delle persone in età riproduttiva, dai 16 ai 49 anni, è inferiore rispetto a trenta o quaranta anni fa. Il calo è strutturale e non si deve guardare tanto al numero di nati ma piuttosto alla propensione a fare figli. Francamente questo report lo ho trovato superficiale e anche un po' banale, ogni volta ci si propone questo giochino del dire "scompare una città". Vabbè. E anche le implicazioni sono discutibili.

Dice che guarda solo il lato negativo, ma dove starebbe il lato positivo nel crollo demografico?

Più che fare allarmismo bisognerebbe pensare a cosa si può fare in pratica per affrontare una situazione che presenta problemi ma non solo. A livello globale se la popolazione diminuisse non sarebbe un male. L'aumento continuo porta problemi di inquinamento, traffico, costo degli immobili, consumo di suolo. Inoltre è un'occasione unica per puntare alla disoccupazione zero, a dare un'occupazione a giovani e donne che oggi non ce l'hanno. Il punto principale, che deve preoccupare la politica, non è la diminuzione ma l'invecchiamento della popolazione e la sostenibilità del welfare state, pagare sanità e pensioni. Ora ci sarà l'ingresso nella età da pensione dei baby boomers che avranno sempre più bisogno di cura e assistenza. Lì che cosa si farà? Questo sarà uno dei problemi del futuro. In un settore dove non è facile tra l'altro trovare gente che si occupa di cura delle persone, funzioni delicate e non particolarmente ambite.

Trentino e Alto Adige nel Nord sono le zone dove il calo demografico sarà inferiore che altrove. Come mai?

Lunedì di Pasquetta è uscito sul New York Times un articolo che analizzava la situazione di Bolzano indicata come la provincia d'Italia che ha più investito sui bambini. Si tratta di politiche di natalità portate avanti per decenni e lo stesso è avvenuto in Francia o nei Paesi scandinavi. Lì ci si è investito costantemente. E questo è successo un po' anche a Trento. Ma non sono solo le politiche, è anche il Pil mediamente più alto che altrove, il benessere, tutte cose che si legano poi alla natalità.

Quando si parla di politiche di natalità immagino non ci si riferisca ai bonus bebè?

Certamente no, ma i servizi, con gli asili nido fino ai tre anni, e in generale le politiche di sostegno alla famiglia ci sono e ci sono sempre state. Anche l'assegno unico provinciale è arrivato prima che nel resto d'Italia. Nasce a Trento la certificazione Family Audit e molto è affidato anche alle aziende.

Anche da noi comunque alla fine se la popolazione tiene è grazie agli immigrati. Tra l'altro il report fa un'analisi al netto dei flussi migratori. Ma questo non la rende automaticamente irrealistica?

Io quando faccio lezione faccio sempre presente che queste analisi mostrano il quadro di cosa succederebbe senza politiche migratorie. Questo non per dire che l'immigrazione è l'unico modo di risolvere il problema ma per dire che se vogliamo più gente produttiva o più bambini nelle scuole in zone che rischiano di spopolarsi ovvio che bisogna attuare una politica migratoria più generosa. Ma chiaramente devono esserci le condizioni anche per loro. E questo a Trento in passato è avvenuto: gli stranieri hanno trovato politiche di accoglienza e per la famiglia e magari hanno fato più figli che altrove. Anche dall'investimento per l'integrazione di chi c'è sul territorio, soprattutto nelle scuole, nascono e crescono i lavoratori di domani. F. G.

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