Società / Nascite

«Non convinci le donne a fare figli solo con i bonus, bisogna rimuovere gli ostacoli»: l’analisi di Agnese Vitali

La docente di demografia all'Università di Trento: «I giovani escono di casa più tardi che in altri Paesi, la mamme sono più attempate. E le coppie allora chiedono servizi, flessibilità d'orario, forse aumento del reddito»

FAMIGLIA Opposizioni all'attacco: battaglia sul congedo paritario per i papà
SOCIOLOGIA Perché tanti giovani trentini non intendono avere figli
TRENTINO Indagine sulla denatalità nei comuni

ITALIA La natalità sprofonda e raggiunge il minimo storico

di Chiara Zomer

TRENTO. Non si convince la gente a fare figli. Quel che si può fare è rimuovere gli ostacoli davanti alle coppie che vorrebbero avere dei bambini - o più bambini - e non possono. Ma non c'è una soluzione facile: le politiche per la famiglia che hanno dimostrato di funzionare sono quelle che agiscono a 360 gradi: mondo del lavoro, conciliazione, sostegni economici, servizi.

Questa l'opinione di Agnese Vitali (foto), docente associata di demografia all'Università di Trento. Che avverte: «Quel che certamente non funziona è spingere verso una tradizionalizzazione dei rapporti di generi, cercando di replicare la famiglia degli anni Sessanta. Non vogliono le ragazze ma non vogliono nemmeno i ragazzi».

Professoressa, partiamo dai numeri. Siamo ai minimi storici dei nati negli ospedali trentini. La sorprende?

«No, per la verità. Anche se non siamo ai minimi dal 2003, perché tra il 2003 e il 2010, che fu un anno di picco, c'era stato un certo aumento. Il calo è recente. E certo è destinato a verificarsi per qualche anno perché dipende anche dal fatto che negli anni Sessanta avevamo avuto il baby boom. Le famiglie si mantenevano con un solo stipendio. Poi sempre meno, e quei ragazzi figli del boom a loro volta, quindi negli anni '70, '80, '90, hanno fatto meno figli dei loro genitori.

Oggi che quella generazione può avere dei figli, avremo un calo continuo anche perché ci sono sempre meno persone che possono diventare genitori».

I buoi sono scappati…

«Questo è un trend a livello italiano, per la verità. Mentre in Trentino a fine anni Novanta il trend si era invertito, fino al 2010, quando è iniziato un nuovo calo. Si tratta di capirne le ragioni. Perché al di là dei nati ogni statistica dice la stessa cosa: il numero di figli per donna che in Trentino è 1,37 e in Italia l'1,24. Qui è meglio che altrove, ma molto peggio di Francia e Scandinavia».

Lei diceva, vanno capite le ragioni.

«La fondazione Demarchi ha fatto recentemente un'indagine su un campione per carità non rappresentativo. E quel che usciva è una crescente percentuale di chi non vuole figli, certo. Ma la maggioranza esprime l'intenzione di essere genitore. Ma lo fa sempre più tardi».

D'altronde prima dei trent'anni non si ha un lavoro fisso, si va in pensione a 67 anni, è tutto spostato più in là.

«Sì, ma questo vale anche per il resto d'Europa, eppure in Francia non si fanno i figli tardi come in Italia, dove l'età media al primo figlio è 31 anni. Siamo il Paese dove si esce di casa più tardi, dove il mercato del lavoro non permette di avere contratti a tempo indeterminato per molti anni. Si prova a fare un figlio quando a volte è tardi».

Qui più che altrove?

«I dati sulla procreazione medicalmente assistita sono notevoli: il Trentino è al quarto posto per nascite da Pma, che sono il 4,7% del totale, percentuale che aumenta al 6% con le mamme laureate. Per dare un'idea, solo l'1% delle mamme tra i 25 e i 29 anni ha un bambino con Pma, si sale al 9% tra i 38 e i 40 anni e si raggiunge il 25% oltre i 40. Il fatto che da gennaio si acceda al servizio con il ticket, ci fa immaginare un aumento di mamme più anziane».

In questo quadro hanno un senso le politiche per la natalità?

«Moltissimo. Perché sappiamo che c'è un desiderio di genitorialità inespresso perché ci sono barriere, ostacoli. È utile lavorare per risolverli».

Ma quali politiche? I bonus forse no.

«Ovunque li hanno usati, i bonus hanno avuto il medesimo effetto: spingono ad anticipare le scelte di chi il figlio ha già deciso di farlo, perché ha paura che l'hanno dopo non ci sia più il bonus. Ma parliamo di persone che hanno già messo in programma un figlio».

Che politica ha funzionato?

«Non ce n'è una, perché non c'è un solo tipo di famiglia. Ci sono le coppie che non sono ancora genitori, e hanno bisogno di politiche per il lavoro, la casa, il raggiungimento veloce di un'autonomia finanziaria dalla famiglia d'origine, per fare il primo figlio. C'è chi ha solo un figlio e ne vorrebbe due, ma allora chiede servizi, flessibilità d'orario, forse aumento del reddito».

Rimuovere gli ostacoli, non convincere a fare figli.

«Anche perché non funziona. Bisogna rimuovere gli ostacoli davanti alle persone che un progetto di genitorialità vorrebbero concretizzarlo».

Insegnare alle diciottenni che devono fare figli non è la strada più efficace, insomma.

«No, e non hanno funzionato nemmeno le politiche che mirano a tornare alla famiglia anni Sessanta, con una ritradizionalizzazione dei ruoli di genere. Non funziona con le ragazze, ma nemmeno con i ragazzi. Su questo ormai c'è certezza: il lavoro femminile è precondizione per decidere di fare un figlio. Poi semmai si lascia perché non si trova posto al nido, ma non si fa un figlio senza un lavoro».

Quindi funzionano le politiche che agiscono in modi diversi.

«Questo insegnano i paesi del Nord, dove hanno investito moltissimo, dove i congedi parentali dei papà si alternano a quelli delle mamme. Ma mi faccia evidenziare una contraddizione del nostro tempo».

Prego.

«Ci impegniamo a spingere verso la natalità, ed è giusto. Poi però alcune categorie di persone che aspirano ad avere figli adottandoli, come coppie in là con gli anni, single o omosessuali, non possono per legge. Questo stride molto».

comments powered by Disqus