Cultura / Intervista

Addio al Muse, il direttore Lanzinger va in pensione: "Oggi siamo tra i musei più frequentati d'Italia"

L'artefice del grande successo dell'istituzione scientifica di Trento lascia l’incarico dal primo marzo, dopo 32 anni alla guida: «Ho iniziato a frequentare il museo di scienze quando era in via Verdi e io bimbetto scappavo per vedere i fossili e i minerali»

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TRENTO. Difficile dire se si emoziona di più quando ricorda mentre da bimbetto si incantava davanti ai fossili in vetrina, in quel piccolo museo all'ultimo piano della sede attuale di Sociologia in via Verdi, o ripensando alla grande festa con 30mila persone di quel 27 luglio 2013, quando venne inaugurato il Muse nel nuovo quartiere delle Albere.

Di certo, il legame tra Michele Lanzinger e il Museo di Scienze di Trento - prima Museo tridentino di scienze naturali - è così forte e straordinario da fare fatica ora a credere che dal primo marzo non sarà più lui il direttore del Muse, perché dalla settimana prossima andrà in pensione a 67 anni per raggiunti limiti di età.

Lanzinger è il Muse e il Muse è Lanzinger: è stato così per 32 anni. Una storia di innovazione e di successo che non si sarebbe potuta realizzare senza la sua spinta e la sua guida.

Professore Lanzinger, è davvero difficile immaginare il Muse senza il suo direttore dopo 32 anni insieme. E per lei com'è questo momento?

In realtà il mio rapporto con questo museo nasce da molto più lontano, perché ho iniziato a frequentarlo che ero un bimbetto, negli anni '60. Quindi veramente è un'enormità di tempo.

È una vita. Fin da bambino ha capito che sarebbe stata quella la sua strada?

Posso dire che tutta la mia vita cosciente si è mossa con forte vicinanza al Museo tridentino di scienze naturali, fin da quando si trovava nella sede di via Verdi. Come capita ai bambini curiosi si scappava dentro per vedere i minerali e i fossili in un museo deserto, perché il concetto di pubblico era totalmente assente. Per tanti anni quei tipi di museo chiudevano il venerdì a mezzogiorno e riaprivano il martedì. Non c'era alcuna nozione di servizio pubblico del museo.

Serviva solo per la conservazione?

Era di conservazione e di ricerca, ma già quando era in via Verdi era aperto alla collettività, perché ricordo che ai tempi del liceo l'allora vicedirettore Bernardino Bagolini, che era archeologo preistorico, organizzava serate di pulizia di reperti archeologici e intere campagne di scavo con gli studenti. L'attenzione del nostro museo nei confronti della partecipazione entra a pieno titolo negli anni '70.

Poi il trasloco in via Calepina.

Nel 1982 il museo inizia a prestare maggiore attenzione al pubblico. Io entro per concorso nel 1988, come conservatore nella sezione di geologia e preistoria, e poi, con un altro concorso nazionale nel 1992, sono diventato direttore.

Sotto la sua direzione il Museo di scienze è cambiato, diventando negli anni quello che conosciamo. Come è avvenuta questa trasformazione?

Se pensiamo come è cambiata la società dalla fine degli anni '80 erano auspicabili delle trasformazioni anche per i musei. Fino ad allora il concetto di educazione non era previsto per i musei. Il rapporto tra lo studente e la conoscenza doveva passare dalla mediazione degli insegnanti. Il primo cambiamento che portai furono attività educative svolte direttamente dal personale del museo, un rapporto con le scuole che è esploso, se pensiamo che adesso al Muse abbiamo 180.000 studenti all'anno che seguono i nostri laboratori.

Il Museo è anche cresciuto come visitatori oltre che come attività. In che modo?

Grazie al sostegno della Provincia e della classe politica decisoria, che in questi 30 anni, in modo continuativo e tuttora, ha permesso a un museo di piccole dimensioni e collocato ai confini d'Italia, di diventare il museo più rilevante a livello nazionale dal punto di vista naturalistico e scientifico. Devo dire che continuo a trovare stima e supporto anche da parte dell'attuale assessora Francesca Gerosa.

Ora siete una realtà di successo, una volta forse era più difficile scommettere su un museo delle scienze. Su cosa aveva puntato?

Dal '92 ci siamo dedicati a studi utili per conoscere le dinamiche ambientali del nostro territorio e abbiamo fatto convenzioni con i dipartimenti ambientali della Provincia. È stata una scelta fondamentale. Poi c'è stata una crescita del personale scientifico del museo con la partecipazione a progetti di ricerca finanziati dall'Ue. Inoltre per la parte di comunicazione abbiamo puntato in maniera consistente su mostre temporanee e intrattenimento culturale. La mostra sui Dinosaurs (1991-1992), la prima mostra in Italia di dinosauri cinesi, aveva le code di visitatori da via Calepina fino al Duomo. Abbiamo dimostrato fino al 2000 di essere una struttura affidabile. Ma la sede era diventata davvero stretta.

E quindi nasce l'idea del Muse.

Grazie all'interessamento di Alberto Pacher, allora sindaco di Trento, che lo propone alla Provincia, e al grande architetto (Renzo Piano, Ndr.) che chiese che nell'area ex Michelin ci fosse anche un'istanza culturale, nella prima decade del nuovo millennio parte una sequenza di progettazioni che ha portato allo sviluppo del concetto di museo, che è il risultato di un lavoro collettivo fatto dal personale del museo, in collaborazione con altri soggetti esterni in connessione con Renzo Piano, che ha saputo interpretare la dimensione fisica dell'edificio rappresentando il concetto stesso del nostro museo, che si basa sullo slogan ambientalista «pensa globale agisci locale» e che si traduce nella verticalità alpina e l'orizzontalità della sensibilità ecologica planetaria.

Nel 2013 avete inaugurato il nuovo Muse. Un sogno diventato realtà.

È stato il punto di partenza. Dopo la grande festa dell'inaugurazione era difficile prevedere cosa sarebbe accaduto dopo. Ma i risultati li possiamo valutare oggi con soddisfazione. Oggi siamo tra i musei più frequentati d'Italia, tra il 12° e il 14° posto, con una relazione molto forte con il turismo locale, perché andare al museo quando è brutto tempo non è più un ripiego.

Chi prenderà il suo posto?

Confido molto nelle nuove generazioni e nei nuovi modi di vedere il mondo. Il salto generazionale è fondamentale.

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