Sanità / I dati

I medici italiani i più anziani nell’Unione europea: la grande fuga dal pubblico

Grave la mancanza di medici di medicina generale: in Italia sono 68,1 ogni 100 mila abitanti, rispetto ai 72,8 della Germania, ai 74,8 dell'Austria, ai 94,4 della Spagna e al 96,6 della Francia. I medici di famiglia negli ultimi 10 anni si sono ridotti di circa il 20%

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ROMA. In là con gli anni, insufficienti soprattutto sul territorio, sempre più tentati dal privato. È il ritratto dei medici italiani che emerge da una Nota realizzata dall'Istituto Nazionale di Statistica in relazione ai diversi disegni di legge sull'accesso ai corsi di laurea in Medicina. Da anni il servizio sanitario è in sofferenza. Tra le cause, anche la carenza di personale. La situazione potrebbe peggiorare nell'immediato futuro: "il servizio sanitario nazionale dovrà fronteggiare nei prossimi anni una crescente domanda di assistenza dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione e all'aumento delle malattie croniche e della multimorbilità", spiega l'Istat. Per farvi fronte sarà necessario "un attento sforzo di programmazione".

Da qui nasce l'analisi Istat, che mostra come i medici italiani siano i più anziani d'Europa: nel 2021, il 55,2% aveva più di 55 anni, a fronte del 44,5% in Francia, del 44,1% in Germania, del 32,7% in Spagna. Il fenomeno è stato più volte segnalato anche dai sindacati medici, che hanno previsto che a causa della cosiddetta 'gobba pensionistica' circa 40mila professionisti lasceranno la professione solo nel triennio 2023-2025.

Per il presidente della Fnomceo, oggi in Italia c'è un 20-30% in più di medici rispetto alle condizioni ordinarie che va in pensione ma questo squilibrio si esaurirà nel giro di 5-6 anni. "Perché tra 10 anni in Italia - spiega - ci saranno poco più di 6mila medici che andranno in pensione, rientrando così, sostanzialmente in una fascia di normalità rispetto all'eccessivo numero di professionisti che oggi hanno un'età maggiore in confronto alla media europea".

Diventa cruciale, quindi, l'ingresso di nuovi medici nel mondo del lavoro. Da questo punto di vista, è positivo il trend dei laureati in Medicina: sono stati oltre 11 mila nel 2020, quasi raddoppiati rispetto ai circa 6.300 del 2010. Si registra però una consistente flessione negli ultimi due anni. Sono invece circa 49,2 mila gli studenti dei corsi di specializzazione, con un incremento del 73,7% rispetto al 2017/2018. Un ulteriore aumento è previsto nei prossimi anni. Non è chiaro però se questi progressi saranno sufficienti a colmare la carenza di medici negli anni futuri.

Oggi, spiega l'Istat, l'Italia si colloca al quattordicesimo posto tra i Paesi Ue per numero di medici ogni 100mila abitanti (410,4). Si tratta comunque di una dotazione più elevata rispetto a quella della Francia (318,3) e del Belgio, anche se inferiore a quella registrata in Austria (540,9), Germania (453) e Spagna (448,7).

La carenza di medici è meno marcata per gli specialisti, ambito in cui l'Italia, con 328,3 medici ogni 100 mila abitanti, si situa davanti a Austria (300,7), Spagna (277,6) e Francia (180,0). In questo ambito, negli ultimi anni, si osserva però un travaso di personale dal pubblico al privato: se nel 2012 lavorava nel pubblico il 62,6% degli specialisti, nel 2021 la percentuale era scesa al 56,2%. Inoltre secondo un sondaggio del sindacato dei medici ospedalieri Anaao-Assomed 7 medici su 10 (il 72%) hanno pensato di lasciare l'attuale posto di lavoro nel Ssn per trasferirsi all'estero, passare alla Medicina generale o a lavorare nel privato.

È invece più grave la mancanza di medici di medicina generale: in Italia sono 68,1 ogni 100 mila abitanti, rispetto ai 72,8 della Germania, ai 74,8 dell'Austria, ai 94,4 della Spagna e al 96,6 della Francia.

I medici di famiglia negli ultimi 10 anni si sono ridotti di circa il 20%: erano più di 45mila nel 2012; oggi sono scesi a 40.250. Di conseguenza è aumentato il carico di lavoro per ogni medico. Ciascuno di loro, in media, oggi segue 1.260 pazienti e il 42,1% ha più di 1.500 assistiti, il limite massimo fissato dalla normativa (nel 2012 era il 27,3%). 

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