Salute / Le cifre

Più di un paziente su due in Trentino si rivolge alla sanità privata per le visite specialistiche

L’analisi della Fondazione Gimbe: saldo in pari fra malati che vanno fuori provincia e quelli che vengono dal resto d’Italia. Ma oltre il 60% dei trentini ricorre alle visite a pagamento

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TRENTO. Un saldo positivo minimo - così viene definito nello studio - pari a 1,4 milioni di euro e la capacità di essere attrattivi che è in mano al privato, con quelle strutture che erogano il 57,9% del valore totale della mobilità sanitaria attiva regionale, con un dato più alto rispetto alla media italiana, che si ferma al 54,7%. Sono questi i due dati che emergono nello studio della Fondazione Gimbe sulla mobilità sanitaria interregionale in Italia.

L'analisi si riferisce al 2021 ed è stata pubblicata nei giorni scorsi. Ma anche i dati del 2022, emersi nei mesi scorsi, sono in linea per quanto riguarda il Trentino, con la nostra sanità che in sostanza pareggia "entrate e uscite", ovvero i soldi che entrano per i pazienti di altre regioni che si curano in Trentino, e quelle che escono per i trentini che vanno a curarsi al di fuori dei confini provinciali.

Un dato significativo che emerge è quello legato al volume dell'erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private, che è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva del privato accreditato. Un capacità attrattiva che nella nostra provincia è tra le più alte d'Italia (sesto posto) e vale più della metà del totale, appunto 57,9%. Nella stessa Regione, tuttavia, non sempre la capacità attrattiva del privato per i ricoveri ordinari e day hospital coincide con quelle della specialistica ambulatoriale: la prima, infatti, in Trentino vale il 60,9%, mentre la seconda il 41,6% del totale. Tornando al saldo generale, il nostro territorio si piazza al quindicesimo posto nazionale nei crediti (66,8 milioni) e in diciannovesima posizione dei debiti (65,5 milioni).

Simili, seppur con cifre molto più basse, i numeri dell'Alto Adige, che ha 28,5 milioni di crediti e 28 di debiti, assestandosi intorno alla ventesima posizione in entrambe le classifiche. Molto differenti, invece, i dati di Bolzano per quanto riguarda il privato: quelle strutture erogano solo il 9,7% del valore totale della mobilità sanitaria attiva regionale contro - come detto - il 57,9% del Trentino e il 54,7% della media Italia.

Dando un'occhiata all'analisi nazionale, nel 2021 la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto complessivamente un valore di 4,25 miliardi di euro, cifra nettamente superiore a quella del 2020 (3,33 miliardi, ma era l'anno del Covid), con saldi estremamente variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, regioni capofila dell'autonomia differenziata, raccolgono il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. In totale, quindi, delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità oltre 1 euro su 2 va a finire solamente nelle casse del privato.

«La mobilità sanitaria - commenta Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe -, è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell'offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Un gap diventato ormai una "frattura strutturale" destinata ad essere aggravata dall'autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell'esigibilità del diritto alla tutela della salute».

 

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