Lavoro / L'allarme

In Trentino carovita pesante ma stipendi sotto la media nazionale e inferiori del 15% rispetto a Bolzano

Nel 2022 in provincia un lavoratore ha guadagnato in media 92 euro al giorno e un «collega» in Alto Adige 106, la retribuzione è più bassa anche della media nazionale. L'appello della Cgil alla Provincia: si cominci con i rinnovi contrattuali

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TRENTO. Nel 2022 un lavoratore in Trentino ha guadagnato in media 92 euro al giorno, cifra lorda comprensiva di contributi e tasse; in Alto Adige la retribuzione media è stata molto più alta: 106 euro al giorno; in Lombardia addirittura 110. I dati elaborati dall'Ispat, l'Istituto provinciale di statistica, in base ai conti annuali della Ragioneria generale dello Stato certificano senza ombra di dubbio quello che da tempo viene detto da studiosi ed economisti.

In una provincia dove il costo della vita, e in particolare della casa, è storicamente più alto della media nazionale siamo come retribuzioni sotto quella media (che a livello nazionale è di 93 euro al giorno) e ben al di sotto della media del Nord Est che si pone a quota 96 euro.

È una condizione di svantaggio che riguarda un po' tutte le qualifiche e i diversi settori economici ma che è particolarmente evidente nel settore del commercio, in particolare nel raffronto coi cugini altoatesini: un trentino che lavora in un negozio o in un'officina di riparazione veicoli guadagna in medi 87 euro al giorno contro i 90 di un veneto, i 103 di un bolzanino e i 109 di un lombardo.

Nel settore alberghiero e della ristorazione siamo 71 a 89 rispetto all'Alto Adige, ma in questo caso almeno si guadagna di più rispetto al resto d'Italia.

«Bisogna però tener conto che nel turismo in Alto Adige possono contare anche su un maggior numero di giorni lavorati all'anno grazie agli investimenti fatti sulla destagionalizzazione e questo porta il gap retributivo col Trentino attorno al 30%», avverte il segretario della Cgil, Andrea Grosselli.

Proprio i settori turistico e del commercio hanno proclamato per venerdì 22 uno sciopero nazionale che i sindacati appoggiano in pieno, segnalando come in particolare in questi settori, centrali per l'economia provinciale, sia cresciuta, dai dati Istat, di due punti e mezzo percentuali la produttività.

«Le aziende sono piene di soldi - commenta Grosselli - eppure non vogliono rinnovare i contratti scaduti da almeno cinque anni».

Chiaro che a tirare la cinghia e tenere i cordoni della borsa ben chiusi sono per prime le imprese, ma certo la politica ha la possibilità di intervenire in maniera decisiva per cercare di riportare verso l'alto il livello degli stipendi dei trentini.

Il governatore Maurizio Fugatti ha scritto nel suo programma pre elettorale che sarà una delle priorità a cui metter mano, ma l'assessore al lavoro Achille Spinelli ha recentemente dichiarato di avere come Provincia poche leve per riequilibrare la situazione e migliorare il potere d'acquisto delle famiglie.

Il segretario della Cgil naturalmente non è d'accordo e chiede che si riprenda immediatamente in mano il dossier stipendi, abbandonato dal marzo del 2022, ultima occasione di confronto del tavolo tra istituzioni e parti sociali che si era costituito dopo gli Stati generali del lavoro, tavolo che non ha partorito alcunché.

Certo il vento che soffia da Roma sembra portare buone nuove per le imprese più che per i lavoratori; la bocciatura del salario minimo garantito ne è un esempio.

«Ma visto che quelli che governano a Roma sono gli stessi partiti che governano anche a Trento dovrebbero mettersi d'accordo con loro stessi. Speriamo che le dichiarazioni di Fugatti siano sincere e che si prendano finalmente decisioni che frenano la caduta del tenore di vita del ceto medio», auspica Grosselli.

La prima cosa che l'ente pubblico può fare - segnala il segretario della Cgil - è stanziare i soldi per il rinnovo e l'adeguamento degli stipendi del pubblico impiego anche per il 2023-2024». Un provvedimento che avrebbe un effetto volano anche per il settore privato, incentivato a mantenere attrattività per la forza lavoro.

Nel privato più della metà dei contratti collettivi sono scaduti e il sindacato suggerisce anche qui la possibilità di intervenire sulla legge provinciale 6 in tema di incentivi alle imprese, introducendo una clausola che taglia i contributi a chi applica un contratto non rinnovato. «Sarebbe una spinta per siglare contratti territoriali e integrativi» sostiene Grosselli.

Ricordando come a livello confederale i sindacati hanno già proposto ufficialmente di introdurre un bonus da 150 euro al mese come integrazione allo stipendio a favore di tutti quei lavoratori il cui contratto collettivo sia scaduto.

Altro settore problematico è quello della cooperazione sociale, dove per diecimila addetti con contratto scaduto nel 2019 sono stati messi sul tavolo due milioni e mezzo. Per la Cgil ne servono molti di più.

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