Profughi/L’idea

Biancofiore shock: «Mettiamo i migranti su un’isola artificiale»

La proposta della senatrice altoatesina per arginare gli sbarchi sulle coste italiane. Nel Regno Unito la chiatta ancorata nelle acque di Portland è stata smantellata dopo poche settimane per un’epidemia di legionella

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TRENTO. Più realista del re. Anzi, più del Regno Unito: se il governo britannico dall'agosto scorso a Portland ha scelto una chiatta per ospitare i migranti, la senatrice altoatesina Michaela Biancofiore, presidente del gruppo che comprende Civici d'Italia, Noi Moderati, Coraggio Italia, Udc e Maie è andata oltre: ha proposto di affrontare il tema delle migrazioni realizzando nel Mediterraneo un'isola artificiale, «una sorta di pit stop di approdo sulla fattispecie della famigerata Isola delle Rose, dove realizzare un hub di accoglienza e salvezza, e di verifica se gli immigrati abbiano titolo a venire in Europa o siano clandestini».

La storia delle isole artificiali è sempre stata prevalentemente legata ad amene utopie: nel 1967 l'ex soldato britannico Paddy Roy Bates occupò una ex piattaforma militare per poter continuare le trasmissioni della sua radio libera mentre al largo di Torre Pedrera in Romagna dal 1958 al 1968 il bolognese Giorgio Rosa proclamò l'Isola delle Rose una repubblica indipendente esperantista. Un'esperienza che la Biancofiore definisce a suo modo di vedere «famigerata». Termine, questo, che più che all'immaginifica esperienza, finita con lo sgombero, dell'ingegnere emiliano, meglio si adatta di certo alle esperienze disastrose già tentate - sulla scorta delle stesse filosofie alla base dell'idea di Michaela Biancofiore: isolare, fermare prima, lasciare fuori - ad esempio, come detto, nel Regno Unito.

Lì non hanno creato isole, optando per una più economica chiatta ancorata nelle acque portuali di Portland: bloccati lì. Hanno iniziato ad accogliere migranti nell'agosto scorso. Dopo poche settimane è stata sgomberata a causa di una epidemia di legionella e ora il governo di Rishi Sunak sta meditando la marcia indietro dopo le denunce delle condizioni devastanti a bordo, con numerosi tentativi di suicidio.

Biancofiore ha richiamato anche l'esperienza australiana, dove da anni i migranti vengono trattenuti su isole del Pacifico: Nauru, Manus. Luoghi in cui i migranti, donne e bambini compresi, vengono stoccati e da cui non possono raggiungere il Down Under. Al limite restare lì, o tornare da dove se ne sono venuti. L'isola prigione di Manus è stata smantellata nel 2021 a seguito delle pressioni della comunità internazionale a fronte delle inumane condizioni di vita sull'isola e al momento dell'accordo tra Australia e Papua Nuova Guinea per la chiusura della struttura il quadro della situazione era quello descritto da Mondo Missione, il periodico del Pontificio Istituto Missioni Estere (non estremisti di sinistra, per dire): «Appena 123 dei 1523 richiedenti asilo e rifugiati detenuti dall'Australia - che li ha fatti trasferire a Manus, in Papua Nuova Guinea in cambio di denaro e progetti infrastrutturali a favore del Paese - e arrivati tra agosto 2013 e febbraio 2014 rimangono nel Paese. Gli altri sono tornati al loro luogo d'origine, sono stati trasferiti temporaneamente in Australia per motivi medici, oppure sono stati reinsediati principalmente negli Stati Uniti d'America. Oppure sono morti. Dei 123 ancora in Papua Nuova Guinea ci si aspetta che alcune decine, forse fino a 30 o 40, possano ancora essere accettati dal Canada».

Dunque, anche se Biancofiore parla di ottime intenzioni («hub di accoglienza e salvezza»), il modello è già stato ampiamente affondato dalle dolorose esperienze tentate disastrosamente in giro per il mondo. Esperienze davvero famigerate, altro che Isola delle Rose. Le. Po.

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