Fauna / Intervista

«Dimezzare gli orsi in Trentino? Il problema non è questo, ma da tempo servivano altre azioni»

Parla Filippo Zibordi, ricercatore che ha collaborato anche con il parco Adamello Brenta: «Life Ursus prevedeva 50 esemplari come minimo per la sopravvivenza della specie, non come limite massimo. I casi problematici andavano risolti fin dall’inizio: via gli esemplari pericolosi, più comunicazione e prevenzione rivolta alla cittadinanza per minimizzare i rischi»

SONDAGGIO Lupi e ursi problematici, vanno abbattuti?
ORDINANZA Maurizio Fugatti: abbattere l'orso che ha ucciso
PROGETTO Cento orsi in Trentino, la radiografia di Life Ursus

di Chiara Zomer

TRENTO. Il dimezzamento della popolazione di orsi? Non è mai stato fatto da nessuna parte al mondo. Al di là delle dichiarazioni a caldo del presidente Maurizio Fugatti, l’obiettivo della giunta provinciale rischia di essere un po’ più complesso da concretizzare di come suona facile annunciarlo.

A riportare con i piedi per terra sono i tecnici, come Filippo Zibordi, divulgatore e ricercatore, che ha collaborato per più di 10 anni con l’ufficio faunistico del Parco Adamello Brenta.

Insomma, uno che conosce l’orso ma anche la situazione trentina. «Sì, ma prima una cosa: portiamo rispetto per la vittima, un ragazzo che ha l’unica “colpa” di essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. E non riesco a immaginare il dolore della comunità e della sua famiglia».

 

Dopo il dramma si pensa alle contromisure. Allora, il presidente Fugatti ha annunciato di voler chiedere il dimezzamento della popolazione di orsi in Trentino. Si è mai fatto?

«Non credo da nessuna parte, non in tempi recenti almeno. Esperienze di ridimensionamento come quello annunciato, in altre parti del mondo, a cui si può guardare per copiare, non mi risultano».

Quindi come si fa? Si spostano?

«Mah, eventualmente l’unico modo sarebbe abbatterli. Anche perché lo spostamento, lo abbiamo visto tante volte, non funziona: percorrono anche decine di chilometri in una notte. Ammesso e non concesso di trovare qualcuno che se li prende, loro verosimilmente torneranno nel luogo dove sono nati e cresciuti».

Al di là della difficoltà pratica, che mi pare quindi evidente, ha un senso parlare di riduzione degli esemplari di orso per rientrare nei parametri del progetto Life Ursus?

«Intanto una cosa. Il progetto non aveva come obiettivo massimo i 50 esemplari. Cinquanta orsi era considerata la popolazione minima vitale per garantire la prosecuzione della specie sul medio periodo. Era esattamente il contrario. Certo, su quale superficie doveva insistere questa popolazione di orsi, è un altro discorso. Il Trentino doveva essere la core area, da cui sarebbe dovuta partire l’espansione che sta effettivamente procedendo, ma più a rilento del previsto. Finora alcuni i maschi si sono spostati, anche di molto, pensiamo a quello arrivato in Baviera, quello in Svizzera. Ma le femmine sono rimaste per lo più nel Trentino occidentale. Solo ora iniziano, alcune femmine a varcare il confine con la Lombardia».

Quindi gli orsi in Trentino non sono troppi?

«Dal punto di vista ambientale, il Trentino è un’area idonea e gli orsi che ci sono trovano cibo e habitat adeguato, quindi non è eccessivo. Un’altra cosa è se la densità sia socialmente accettabile. Ma non c’entra l’ecologia della specie. E su questo piano, il tecnico fa un passo indietro, e decide la politica».

Ed è un ragionamento che si può fare? O ha ragione chi dice che bisogna lasciare i boschi agli orsi, come negli Usa o in Canada?

«Ecco, paragonare l’Alaska o lo Yellowstone al Trentino, come ho letto fare da tanti sedicenti esperti in questi giorni, non ha senso. Qui non c’è una terra dove stanno solo gli orsi. Il paradigma non può essere quello per cui un giorno ci saranno zone dei boschi in cui l’uomo non può andare. È possibile una convivenza, e non è nemmeno necessario ridurre la densità».

In questi giorni sembra difficile.

«Fin dall’inizio del progetto, c’erano cose che andavano gestite. Tra queste, i casi problematici. Gli esemplari pericolosi o dannosi andavano tolti, e andava fatta comunicazione e prevenzione alla cittadinanza per minimizzare i rischi, oltre che ricerca scientifica. Negli ultimi 10 anni si sono tirati i remi in barca, non si è avuto il coraggio di eliminare a vita libera - abbattimento o cattività dal punto di vista ecologico non cambia - gli esemplari pericolosi o dannosi, e dall’altra si sono diminuite le risorse a favore della gestione dell’orso, della ricerca, della dissuasione verso esemplari troppo confidenti, della comunicazione verso la popolazione. Tutto questo ha creato il cortocircuito di oggi».

Quindi con gli orsi problematici si doveva intervenire subito.

«Non sto dicendo che la tragedia dell’altro giorno sarebbe stata evitata. Ma mettendo in atto iniziative sia che hanno come target l’orso - dissuasione o rimozione - sia le persone, con la comunicazione, si sarebbe minimizzato il rischio nei confronti di un animale che, va comunque ricordato, è capace di gesti di grande forza e violenza. Sempre per autodifesa, ma gli orsi restano orsi e come tali vanno raccontati».

Per questo ha senso ragionare di chiudere i boschi, in un certo periodo dell’anno magari, con le cucciolate, appena dopo il letargo, in aree densamente abitate dall’orso?

«Senz’altro avrebbe senso. Ma per farlo devo conoscere bene cosa accade sul territorio, avere un monitoraggio stretto e torniamo al tema delle risorse. Sul Peller devo sapere chi c’è, se ci sono femmine, se ci sono cuccioli, e allora so se devo avvisare la popolazione che deve far rumore o se può avere senso interdire l’area per alcuni giorni».

Quanto è sbagliato fare scelte sull’onda dell’emozione?

«Io credo soprattutto che bisognerebbe decidere evitando di strumentalizzare la vicenda, sia da una parte che dall’altra. Ma ormai da anni l’orso è diventato argomento della politica, strumentalizzato dagli animalisti che considerano l’uomo un intruso a casa sua e dalla destra che parla di una situazione sfuggita di mano, in totale emergenza. Sono approcci sbagliati entrambi. Secondo me non siamo in emergenza, ma la gente che ha paura deve avere risposte ai suoi dubbi».

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