L’emergenza / I timori

Crisi energetica, Confcommercio lancia l'allarme: «Terziario, 1.100 imprese sono a rischio»

Circa 3.500 addetti nella sola nostra provincia rischierebbero di perdere il posto di lavoro da qui ai primi mesi del nuovo anno. Massimo Piffer, vicepresidente vicario dell’associazione: “Serve solidarietà”

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di Daniele Battistel

TRENTO. Sono quasi 1.100 nel solo terziario di mercato le aziende a rischio chiusura in Trentino a causa della crisi energetica. Il dato emerge da un'elaborazione di Confcommercio Trento sui numeri nazionali che parlano di un totale di oltre 120mila imprese che potrebbero non superare il gravissimo momento, pari al 4,4 per cento di tutte le imprese italiane.

Il che significa 370mila lavoratori in pericolo con tutto il costo sociale che ricadrà sull'intera comunità. Rispettando le proporzioni, significa circa 3.500 addetti del terziario che nella sola nostra provincia rischierebbero di perdere il posto di lavoro da qui ai primi mesi del nuovo anno.

Partendo da questi impressionanti numeri, Massimo Piffer, vicepresidente vicario di Confcommercio provinciale e presidente del Settore commercio al dettaglio, mette in guardia su un aspetto: serve solidarietà. «Non ci si faccia illusioni sul fatto che da questa catastrofe se ne possa uscire indenni da soli: serve un'azione corale del governo, delle associazioni di categoria e dei sindacati. Di più, il tema va riproposto a livello continentale: l'Europa in questo momento deve avere una leadership forte per traghettare le imprese, e di conseguenza le famiglie, fuori dalle secche di una crisi difficilmente spiegabile».

Non a caso Piffer torna a chiedere regole per un prezzo congruo delle commodities energetiche in tutti i paesi europei. «Se non si fa questo in tempi rapidi - è la sua analisi -, le aziende non riusciranno più a sopportare l'aumento dei costi e saranno obbligate ad aumentare i prezzi, dando ulteriore carburante all'inflazione. Ciò fermerà la crescita economica del Paese e porterà alla perdita di competitività rispetto agli altri sistemi produttivi».

Al governo Confcommercio chiede l'aumento del credito d'imposta che copra almeno il 50 per cento dell'aumento totale dei costi sostenuti dalle aziende. Non solo. «C'è tutta la partita della rateizzazione delle bollette - dice Piffer - ma anche la necessità di lavorare all'ipotesi di una moratoria perché le imprese non hanno liquidità per stare dietro a tutti i pagamenti».

Il combinato disposto di costi più alti e incertezza sulle entrate può portare alla perdita di controllo sui conti delle aziende e dunque ad uno scostamento dai normai parametri del conto economico. A questo proposito la richiesta di Confcommercio è quella di modificare le regole di scrittura di bilancio, allungando per esempio i tempi di ammortamento dei cespiti e proponendo una diluizione delle eventuali ricapitalizzazioni aziendali.

«Questo vale specialmente per le nostre piccole imprese, poco capitalizzate e imperniate attorno alla figura del singolo proprietario».

Infine Piffer chiede una particolare attenzione al settore "food". «Durante la pandemia abbiamo visto tutti l'importanza dell'alimentare che ha fatto importanti sforzi per garantire rifornimenti e aperture: è un'attività di prima necessità, dev'essere in ogni modo sostenuta nel momento in cui, a causa del costo dell'energia, forni, frighi e catena del freddo hanno costi fuori scala».

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