Cultura / Il ricordo

Addio professor David Wilkinson, maestro di inglese e di vita

Mancherà a tutti coloro che hanno avuto il piacere e l’onore di conoscerlo. Ci mancherà quel poeta, poliglotta e, nel suo modo speciale, fottutissimo genio

IL LUTTO Addio a Wilkinson

di Andrea Tomasi

TRENTO. “Rovereto, come Trento, è il posto ideale, perché è facilissimo andarsene: hai la stazione ferroviaria e hai l'autostrada a due passi». Così rispondeva David Wilkinson alle signore attempate che gli chiedevano del suo ambientamento fra le montagne. 

Erano i suoi primi anni in questa terra, fatta di bellezza e a volte anche di autoreferenzialità, diciamolo. E lui, con la sua cultura sterminata, maestro del politicamente scorretto, con una sottile cattiveria che ti taglia le mani come sa fare solo un foglio di carta, rispondeva con gentile ironia, un sorriso e un inarcamento del sopracciglio a chi poneva domande che sapevano di Azienda di promozione turistica. Gli piaceva spiazzare. Apprezzava l’intelligenza e detestava l’ottusità. David Wilkinson o lo amavi o lo odiavi. E lui ricambiava, dosando stima o disprezzo.

La notizia della sua morte non lascia indifferenti. Colpisce i suoi ex alunni. L’ho conosciuto come lettore di inglese al liceo scientifico con indirizzo linguistico, creatura di quella che poi divenne sua moglie e che lui conobbe come preside, Caterina Dominici. Il rischio, nel ricordarlo, è di tenere in primo piano solo le bizzarrie e l’eccentricità di questo poeta, poliglotta (parlava francese, spagnolo, portoghese, russo, serbo, croato, urdu, italiano e - vi assicuro - anche dialetto trentino e, immagino, lingua nonesa).

Nato nel 1960 a Manchester, laurea ad Oxford, una serie di riconoscimenti letterari, aveva trovato una sua dimensione proprio in Trentino, che Caterina Dominici - pari a lui per originalità e cultura - gli ha fatto conoscere nel profondo e amare.

Sono grato a David Wilkinson e, con me, credo, tantissimi ex studenti dell’indirizzo Linguistico del Da Vinci, tramutatosi in liceo Sophie Scholl. Gli sono grato perché è stato un ottimo insegnante. Per cinque anni l’ho visto entrare in classe, in affiancamento alla docente di ruolo (i primi anni con la professoressa Bertelle), sempre con la stessa voglia di dare il meglio a quel gruppo di ragazze (la maggior parte) e di ragazzi che volevano imparare l’inglese. Entrava in aula e parlava solo in inglese, dall’inizio alla fine della lezione, lanciandoti una ciambella di salvataggio in italiano solo in casi estremi, solo quando ti trovavi veramente in difficoltà. Lo abbiamo forse conosciuto negli anni migliori, noi studenti del Linguistico Da Vinci.

Insegnava lingua, letteratura e anche vita, con il suo modo perfidamente britannico di vedere le cose. Nemico giurato della mediocrità, eccelleva. E noi studenti notavamo il suo modo unico di rapportarsi alla classe e ai suoi colleghi, che non mancava di criticare (in loro assenza ma sempre anche in loro presenza). Lo avevo perso di vista, come inevitabile, seguendolo solo sulle cronache. Qualche notizia, periodicamente, mi arrivava tramite amici e soprattutto tramite Caterina Dominici. A distanza abbiamo assistito alla metamorfosi di lei perché, oltre che marito, collega e complice nella narrazione del Trentino e dell’Italia, David Wilkinson per la compagna è stato fonte di ispirazione e di gusto. Mancherà a lei, ovviamente. E mancherà a tutti coloro che hanno avuto il piacere e l’onore di conoscerlo. Ci mancherà quel poeta, poliglotta e, nel suo modo speciale, fottutissimo genio.

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