Morì inghiottita dal fango Chiesta l'archiviazione sulla tragedia di Dimaro

Non ci sarebbero responsabilità penali per la morte di Michela Ramponi, inghiottita dalla colata di fango che aveva invaso le case in località Ruina a Dimaro. Era il 28 ottobre del 2018 in piena tempesta Vaia. O meglio, secondo la procura, dalle indagini preliminari non sono emerse fonti di prova idonee a sostenere un giudizio a carico dei quattro indagati per i quali dunque il pm Carmine Russo ha chiesto l'archiviazione del procedimento. Secondo la procura, che ha fatto proprie le conclusioni del perito nominato dal giudice, il tracollo delle opere di protezione poste lungo il rio Rotian è da imputare a fenomeni meteo eccezionali e imprevedibili. Anche se certo - riconosce lo stesso perito - sarebbe stato possibile prevedere supplementari opere di protezione idraulica, vista la pericolosità del luogo nota da secoli.
Il procedimento penale.
Si ipotizzano i reati di omicidio colposo per la morte di Michela Ramponi e di disastro colposo (per la precisione articolo 449 del codice penale, delitti colposi di danno). Gli indagati sono quattro: al dirigente del Servizio bacini montani della Provincia Roberto Coali e all'ingegner Silvia Franceschi (responsabile del gruppo di lavoro a cui la Provincia affidò l'incarico di redigere uno studio sui rischi idraulici del rio Rotian) la procura contestava di aver omesso di proporre (l'ingegner Franceschi) e di realizzare (Coali) «opere di difesa idonee - si legge sul capo di imputazione - ad impedire l'evento». All'ex dirigente della Protezione civile della Provincia, Stefano Devigili, e al sindaco di Dimaro, Andrea Lazzaroni, (indagati solo per omicidio colposo) la procura contestava invece ipotetici (a questo punto viene da dire inesistenti) ritardi nel lancio dell'allarme rosso e nell'evacuazione della popolazione esposta all'esondazione del rio Rotian.
I quattro indagati possono tirare un respiro di sollievo, ma non ancora definitivo. Alla richiesta di archiviazione della procura hanno presentato opposizione chiedendo ulteriori indagini l'avvocato Paolo Chiariello legale del marito di Michela Ramponi, e l'avvocato Silvio Scola per un'altra parte offesa.
La tragedia si poteva evitare?
Il perito ha risposto che la colata detritica è derivata da fenomeni naturali eccezionali (precipitazioni piovose e intensità del vento) e che, in concreto, non sarebbe stato possibile, in considerazione dell'eccezionalità e imprevedibilità dell'evento, predisporre un sistema di opere a difesa dell'abitato di Dimaro tale da impedire con certezza o con alto grado di probabilità la colata detritica». Il perito aggiunge - rileva il pm nella sua richiesta di archiviazione - «che sulla base di quelle che erano le conoscenze dell'epoca, sarebbe stato possibile, prescindendo dalla relative problematiche economiche, la realizzazione di ulteriori opere di difesa dell'abitato, quale ad esempio l'ampliamento della sezione del canale sul conoide, interventi di rinforzo delle briglie esistenti, fino all'esecuzione di opere di ancora maggiore entità, ma tenuto conto di quella che era la situazione dell'epoca antecedente all'evento del 29 ottobre 2018 si possono ritenere giustificate le scelte operative poste in essere negli anni precedenti tale evento».
L'allerta rosso.
Quanto alla seconda ipotesi accusatoria (che riguarda solo Devigili e Lazzaroni) sulla gestione dell'emergenza, l'esito della perizia è ancor più favorevole alla difesa «sia perché ritiene che le previsioni meteo disponibili non fornivano elementi per procedere con prescrizioni diverse rispetto a quanto previsto dall'avviso di allerta moderata (arancione) emesso il 26 ottobre 2018 alle 15 e 30 e dall'avviso di allerta elevata (rossa) emesso il 28 ottobre alle 12 e 15 e sia perché non c'erano elementi per pensare che si fosse verificata alcuna ostruzione dell'alveo a monte», Inoltre «non era rilevabile alcun elemento di fatto che facesse ipotizzare l'imminenza di una colata detritica, elemento di fatto che compare soltanto alle ore 18 e 50 dello stesso giorno, quindi soltanto pochi minuti prima dell'evento, cioè della morte della povera Michela Ramponi rimasta imprigionata nel fango nonostante il marito abbia tentato in tutti i modi di strappare la moglie ad una morte atroce.


Due delle tre parti lese si oppongono all'archiviazione del procedimento penale e chiedono nuove indagini. L'avvocato Paolo Chiariello, legale del marito di Michela Ramponi, sostiene che quella che si consumò a Dimaro la sera del 29 ottobre 2018 era una «tragedia annunciata». Fenomeni simili, infatti, erano già accaduti nel 1776, nel 1882 e nel 1885. Appare chiaro - sottolinea l'avvocato - come la tragedia provocata dall'ondata detritica scesa sull'area densamente urbanizzata di località Ruina pochi istanti prima delle ore 19 del 29 ottobre 2018 sia «il frutto di una lunga catena di decisioni errate, causate da una catena altrettanto lunga di cognizioni parimenti errate».
Secondo la parte lesa, la conoscenza della reale pericolosità dell'area avrebbe imposto alle autorità di protezione civile locali l'evacuazione della zona quantomeno dal momento in cui si palesava l'entità del fenomeno atmosferico in corso. Ma secondo l'avvocato Chariello e il consulente di parte professor Ranzi, la pericolosità dell'area era stata sottovalutata.
La parte lesa sottolinea come non sia raro che a fronte di un fenomeno metereologico ragguardevole cadano delle opere di difesa mai collaudate, peggio costruite e che in base ai calcoli effettuati dagli stessi consulenti degli indagati dovevano già considerarsi instabili prima dell'evento catastrofico.
II legale della famiglia di Michela Ramponi si oppone all'archiviazione chiedendo ulteriori indagini anche per verificare se nell'alveo erano state fatte opere di pulizia e se le briglie lungo il temuto rio Rotian erano ancora efficienti.
Ora la parola passa al giudice che può archiviare, disporre nuove indagini o invitare il pm a formulare l'imputazione.

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