Dubbi sul super ambulatorio Possibile ricorso dei sindacati

di Patrizia Todesco

Questo matrimonio non s’ha da fare», dissero i bravi a don Abbondio. E Nicola Paoli, segretario della Cisl Medici, con la stessa fermezza dice no all’«Aggregazione funzionale territoriale» di Pinzolo annunciata nei giorni scorsi dal direttore generale dell’Azienda sanitaria Paolo Bordon.

L’accordo siglato tra gli amministratori delle valle e dai medici di medicina generale della Rendena per creare il super-ambulatorio prima che la cosa fosse stata concordata a livello sindacale non è piaciuto ai sindacati.

Ciò che è stato fatto, l’accordo di Pinzolo, è un insulto alla Commissione provinciale che deve fare il contratto. Si doveva prima trovare un accordo e fare la delibera e poi annunciarla e trovare l’intesa a livello locale

Bordon si aspettava la firma della deroga per poter portare avanti almeno il progetto pilota di Pinzolo. E invece, al momento, quella firma i sindacati non sono pronti ad apporla. La scorsa settimana il tavolo delle trattative è saltato. Nicola Paoli l’ha abbandonato.

«Ora si tratta di vedere se all’assessore o al presidente Rossi interessa davvero portare avanti la trattativa. Se chiamano loro io sono disponibile, ma fino ad ora si è sbagliato il metodo. Ciò che è stato fatto, l’accordo di Pinzolo, è un insulto alla Commissione provinciale che deve fare il contratto. Si doveva prima trovare un accordo e fare la delibera e poi annunciarla e trovare l’intesa a livello locale», dice adirato Paoli che annuncia, nel caso l’Azienda proseguisse nel suo disegno, di ricorrere alla Corte dei Conti.

Paoli non vuole nemmeno che le colpe dell’ennesimo stop alla riorganizzazione finiscano per ricadere interamente sui sindacati. «Il problema sono l’Azienda sanitaria e la Provincia. L’idea di Pinzolo è buona ma andrebbe fatta su tutto il territorio. E allora, attorno ad un tavolo, nero su bianco, occorre indicare dove e come. Invece continuano a fare e disfare. Al tavolo viene fatta una proposta e poi lavorano ad un’altra. È inaccettabile».

La scorsa settimana, sulla questione della riorganizzazione della medicina del territorio, si è riunito anche il Consiglio sanitario provinciale, organo tecnico-scientifico della Giunta presieduto dall’assessore Luca Zeni e del quale fanno parte anche il presidente dell’Ordine dei medici, quello dei farmacisti, degli infermieri, degli psicologi, dei radiologi e molte altre categorie professionali.

All’incontro era presente anche il direttore Bordon che ha presentato le linee guida della riorganizzazione della medicina territoriale. Linee guida che - in via generale - i componenti del Consiglio hanno detto di condividere. «Una medicina territoriale che si integra con la specialistica, un medico di medicina generale che viene supportato nelle sue funzioni da una struttura tecnico -amministrativa e la presenza di personale amministrativo in modo che i cittadini possano accedere ai servizi in maniera continuativa sono idee che tutti sosteniamo. Il problema è tradurle in pratica», dice il presidente dell’Ordine dei medici Marco Ioppi.

Non c’è bisogno di una riforma frettolosa e non è imponendola che si risolvono i problemi

«I medici di medicina generale in questo momento sono evidentemente preoccupati oltre che oberati da impegni burocratici e amministrativi che poco competono con l’attività clinica. Non c’è bisogno di una riforma frettolosa e non è imponendola che si risolvono i problemi.

Solo capendo le paure dei medici di medicina generale si può andare avanti», spiega Ioppi sottolineando che tutti sostengono l’idea che la riforma vada fatta urgentemente, ma ciò non dipende dagli Ordini.

«Speriamo in una soluzione pratica che coinvolga gli operatori. Io credo che non si debbano guardare solo le volontà dei cittadini, ma occorra costruire servizi sanitari anche con il coinvolgimento delle professioni e delle istituzioni che devono finanziare. Stiamo tutti aspettando la riforma ma non si può fare a costo zero», aggiunge il presidente appellandosi alla necessità che Azienda e Provincia comprendano il bisogno di semplificazione che avvertono i medici e anche «la necessità che per certi progetti vengano stanziate risorse».

Una medicina territoriale, quella trentina come quella nazionale, che vedrà cambiare i protagonisti considerato che nei prossimi dieci anni metà dei medici oggi in servizio sarà in pensione.


LA REAZIONE DEL POOL DI MEDICI DELLA VAL RENDENA

Dopo lo stop dei sindacati, arriva il sì dei medici.

Il dottor Paolo Garbari, il medico referente del pool di medici della Rendena che hanno dato il loro ok a far partire il progetto pilota per l’aggregazione funzionale territoriale, ossia il super-ambulatorio, non ha dubbi: la proposta dell’Azienda sanitaria per quella che da anni è diventata la sua valle è la risposta che meglio soddisferà le esigenze degli ottomila residenti.

«Noi medici della valle abbiamo detto sì perché questo è il frutto di anni di dibattito e confronto con l’Azienda sanitaria e l’amministrazione. Attendevamo da tempo una proposta e finalmente è arrivata. Io sto lavorando a Caderzone, dove si appoggiano 500 residenti di Pinzolo in quanto lì non c’è spazio nonostante da due anni ci sia questa struttura.

Io ho deciso di fare il medico perché voglio bene alla gente, credo che la mia missione sia quella di prestare un servizio. Mio fratello è missionario in Bolivia, io ho scelto questa strada. Dunque, ora che Azienda sanitaria, professionisti e amministratori locali sono tutti d’accordo nel far partire questa sperimentazione non comprendo dove sia il problema

Abbiamo detto di sì per tre motivi: perché c’è una migliore accessibilità per il paziente, una continuità assistenziale garantita 12 ore e se si considera la guardia medica 24 e infine per una integrazione della risposta. Noi qui lavoreremo tutti insieme, condivideremo la cartella clinica. Non lavoreremo più per comparti stagni, da soli, e i cittadini sapranno che, a tutte le ore del giorno, potranno trovare una risposta. Quando non ci saremo noi ci sarà una segretaria che eventualmente chiamerà il medico reperibile».

Il dottor Garbari sottolinea anche le motivazioni personali che lo hanno portato a questo accordo. «Io ho deciso di fare il medico perché voglio bene alla gente, credo che la mia missione sia quella di prestare un servizio. Mio fratello è missionario in Bolivia, io ho scelto questa strada. Dunque, ora che Azienda sanitaria, professionisti e amministratori locali sono tutti d’accordo nel far partire questa sperimentazione non comprendo dove sia il problema».

Questa è una sperimentazione che va al di là degli accordi sindacali. Dovrebbero permetterci di fare questa prova, vedere se funziona e poi discutere la questione a livello provinciale per tutti. Qui ci sono 8 mila persone in valle che aspettano una risposta

Il referente di questo gruppo medici assicura che nessuno ha fatto loro pressioni per appoggiare questo progetto. «Tutti abbiamo firmato con la volontà di fare qualcosa di buono per la gente di questa valle sperando che poi questo progetto pilota funzioni e possa essere applicato anche in altre zone del Trentino. Ha firmato anche un collega che andrà in pensione a fine anno proprio per avallare questa idea».

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Di fronte alle dichiarazioni del sindacalista Nicola Paoli, Paolo Garbari è piuttosto sconcertato. «Non conosco il collega e non faccio parte di alcun sindacato anche se ho sentito anche colleghi che vi fanno parte che non hanno gradito certe prese di posizione», ammette.

«Questa è una sperimentazione che va al di là degli accordi sindacali. Dovrebbero permetterci di fare questa prova, vedere se funziona e poi discutere la questione a livello provinciale per tutti. Qui ci sono 8 mila persone in valle che aspettano una risposta. Io stesso abito a Caderzone e ho l’ambulatorio a 200 metri da casa. Avrei potuto tranquillamente non fare nulla ed evitare di dover andare a Pinzolo.

Mi dispiace molto che non ci sia unità tra noi medici. Dobbiamo tutti ricordarci che il cittadino deve essere sempre al centro e personalmente sono determinato a tener duro e iniziare questo progetto

Ma sono anni che prometto ai miei 500 assistiti di Pinzolo che quando ci sarebbe stata la possibilità sarei andato anch’io in quella struttura per garantire un miglior servizio. Questo non vuol dire che lasceremo i nostri ambulatori negli altri paesi. Io la vedo come una mossa per il futuro e sono orgoglioso di far parte di questa sperimentazione.

Mi dispiace molto che non ci sia unità tra noi medici. Dobbiamo tutti ricordarci che il cittadino deve essere sempre al centro e personalmente sono determinato a tener duro e iniziare questo progetto. L’Azienda sanitaria ci garantisce aiuto. Abbiamo già fatto un’ipotesi di orario, la connessione a internet è attiva e anche i servizi. Basta l’ok e in dieci giorni siamo pronti a partire».

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