Niente trucco, visite umilianti Padre padrone a processo

Niente trucco né cellulare. Vietate le amicizie maschili e pure gli occhiali da sol

Niente trucco né cellulare. Vietate le amicizie maschili e pure gli occhiali da sole. Look ed acconciatura soggetti a rigorosa approvazione o bocciatura prima di uscire di casa. E perfino una visita ginecologica per assicurarsi della verginità della figlia e un esame delle urine per accertarsi che non assumesse sostanze stupefacenti.

Non sono i rimasugli di qualche testo medievale e nemmeno le regole dettate da chi è cresciuto in un ambiente culturale lontano anni luce da quello occidentale. A pretendere che la figlia adolescente rispettasse alla regola i suoi «comandamenti» - pena le botte - sarebbe stato un sessantenne trentino.

Un padre «padrone», secondo quando emerge dal lungo capo di imputazione a suo carico, che ora si trova a processo con l’accusa di maltrattamenti in famiglia. Vittima la figlia che, tra i 14 ed i 16 anni, sarebbe stata costretta a vivere in un clima di violenza e repressione.

I fatti oggetto di questo procedimento penale, successi in una valle, sono particolarmente delicati visto che riguardano una ragazza minorenne ed investono la sfera degli affetti familiari. Sotto accusa sono finiti i comportamenti e le regole stabilite dal padre che l’avrebbe sottoposta ad un controllo a dire poco rigido. Una verifica che, almeno secondo le accuse appare ossessiva, su tutto quello che faceva da quando si alzava e si preparava per andare a scuola al momento di rientrare a casa.

L’uomo, per parte sua, sarebbe stato convinto di agire per il bene della figlia. Forse voleva «proteggerla» da brutte esperienze o cattive compagnie. Forse non sapeva come rapportarsi con la figlia adolescente.

Sta di fatto che la linea scelta dal padre sarebbe stata quella della massima severità, al punto da rendere però la vita della figlia impossibile. Ma la rigidità dell’uomo avrebbe travalicato anche il limite del lecito, tanto da procuragli una denuncia per maltrattamenti.
L’elenco dei comportamenti finiti sotto accusa, come detto, è lungo. In primis il papà avrebbe preteso di decidere sia i vestiti che l’acconciatura dei capelli della figlia, picchiandola se si truccava e se lo faceva in modo che non corrispondeva al suo gusto.

Anche rispetto alle frequentazioni il sessantenne non transigeva: niente amicizie maschili e, soprattutto, niente contatti con ragazzi che non fossero di nazionalità italiana. E per essere certo che nel giro di amicizie della valle non entrassero persone a lui sgradite aveva vietato anche alla ragazzina di possedere un cellulare, arrivando a rompere perfino quello che le era stato regalato dai nonni.

Ma il controllo non riguardava solo contatti ed abitudini, il padre secondo l’accusa pretendeva che, una volta uscita da scuola, lo raggiungesse al lavoro, al fine di evitare di perderla d’occhio, anche se questo significava impedirle di riposare e starsene tranquilla. Anche praticare sport era vietato, se questo significava andare a seguire gli allenamenti.

Ma il controllo ossessivo della figlia lo avrebbe spinto anche a costringerla a sottoporsi ad esami medici: dal test delle urine imposto per accertarsi che non assumesse droghe, alla visita ginecologica, affinché venisse accertata la sua verginità.

Una prigione, dunque, in cui alle mortificazioni e alla violenza psicologica, si sarebbe aggiunta anche quella fisica: sono vari gli episodi di percosse contestati, anche con contusioni giudicate guaribili in una settimana.

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